Roma, la vergogna della riserva naturale della Marcigliana: dal drone il parco appare una discarica

Malagrotta? No. Marcigliana. Unite dalla devastazione. Benvenuti dunque nell’attuale Riserva Protetta della Marcigliana, a Roma, tra Monterotondo e la zona della Bufalotta, teoricamente un polmone verde che respirando sfiora la città. Sfiorava. Respirava. Benvenuti nella mondezza diventata ebrezza, perché sempre di odori parliamo, anche se esasperati. Quello spazio si è trasformato in un’area completamente diversa, pervasa dai ricordi di tante vite, come è sempre una discarica: i pezzi pazzi, lo smembramento lercio e inguardabile di ciò che è stato e che non è più, ma che non si riesce a far scomparire, a smaltire. In fondo è questo la nuova Marcigliana, il parco diventato (s)porco: una latrina a cielo aperto, messa a disposizione di chiunque abbia il coraggio di avvicinarsi, di accostare, di vivere a più stretto contatto questo plateale malessere urbano, queste migliaia di vite appena vissute e adesso raggruppate così, senza criterio, sotto forma di memorie fetide, nel serpentone di rifiuti. In fondo ogni angolo dello schifo che vediamo, e che l’occhio indiscreto della macchina fotografica di Angelo Franceschi ha documentato, rappresenta un’esperienza vissuta, non importa se di corsa, bene o male, per sbaglio o di riflesso. L’immondizia è la testimonianza di una trascorsa umanità, di antiche proprietà, di materiali che un tempo (ne siamo certi) saranno stati utili, a volte persino indispensabili. Una testimonianza nella quale tuttavia non vorremmo mai inciampare. Ciò che leggiamo con la Marcigliana è il diario puzzolente del passato di gente che magari per la prima volta si trova a condividere qualche metro quadrato, attraverso bottiglie di plastica, stracci assortiti, pezzi di cappotto, ombrelli sfasciati e ogni altro scampolo del loro mondo, il mondo di ieri. Il tavolino basso rivoltato, le taniche che un tempo contenevano liquidi infiammabili, il classico cassettone preso a randellate da un ex padrone fumantino, durante una lite familiare sfuggita di mano, l’immancabile divano, per di più intatto, come se chi l’avesse lasciato lì fosse stato mosso da un odio improvviso e non da una necessità, semplicemente perché era vecchio e sfondato, cioè inutile: tutti protagonisti di alto livello di questo spettacolo rovesciato delle mille vite demolite, perdute, abbandonate, cominciate chissà dove ma di sicuro finite qui, nella riserva deflorata. La vista col drone di Franceschi, che vola sulla strada, infestata ai lati, fa pensare ad altro: i resti, i detriti, la spazzatura, fiancheggiando l’asfalto, sembrano gli spettatori di una corsa ciclistica, in attesa del passaggio dei campioni. Solo che non passa nessuno. E gli spettatori sono una vera “monnezza”.di Enrico Sistivideo di Francesco Franceschi

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