Le ricadute sul governo Meloni e sul «campo largo» delle elezioni in Abruzzo | L’analisi del voto

di Francesco Verderami

Dopo la Sardegna, il voto di queste regionali era un crocevia per le due coalizioni. Il successo abruzzese allenta le tensioni a Palazzo Chigi. E Schlein si rafforza rispetto a Conte

Le ricadute sul governo Meloni e sul «campo largo» delle elezioni in Abruzzo | L’analisi del voto

Il voto in Abruzzo (qui i risultati ) era un crocevia per le due coalizioni. Il centrodestra voleva capire se derubricare la sconfitta in Sardegna a semplice infortunio o prendere atto dell’inizio di un processo di logoramento. Il centrosinistra voleva invece capire se quello che vedeva all’orizzonte era già il campo largo o se la vittoria in Sardegna fosse stato solo il riflesso di un miraggio.

Può sembrare paradossale che un test regionale avesse assunto una simile valenza. Ma in politica la percezione conta e in certi casi travalica il valore della sfida. Sfida che nelle proiezioni della notte assegna un netto successo al centrodestra. Così si allenta la tensione avvertita in questi giorni a Palazzo Chigi, visto che anche Marsilio era espressione di FdI, e al contrario del candidato sardo Truzzu si presentava alle urne come governatore uscente.

Insomma, sulla premier si scaricavano le maggiori responsabilità. Con tutte le sue eventuali conseguenze. Il test pare superato. È il risultato del Carroccio che sarà semmai oggetto di riflessione, con particolare riferimento al tema della «Lega nazionale»: perché non è chiara la reazione di Salvini e quale riverbero potrà avere sul governo.

Ed ecco il punto. Tocca a Meloni gestire le relazioni nella maggioranza, da leader della coalizione. Ma ancor di più, da presidente del Consiglio, dovrà stabilire quale linea adottare: se continuare a privilegiare la tattica della mobilitazione permanente o puntare piuttosto sull’azione di governo. Ogni opzione ha le sue controindicazioni. Nel primo caso la scelta di tenere sempre in testa «l’elmetto» ha prodotto la reazione dell’elettorato avverso, almeno in Sardegna, e in parte ha disorientato quanti hanno investito sulle sue capacità di premier. «Il problema — come racconta un esponente dell’esecutivo — è che la squadra la aiuta poco e la produzione dei ministeri non è all’altezza delle aspettative».

Il fatto è che nell’estenuante sfida elettorale — che arriverà fino a giugno e avrà un’appendice in autunno con le Regionali in Umbria — rischiano di restare schiacciati gli obiettivi già raggiunti dal governo: dalla riforma del fisco agli accordi sui fondi di coesione, fino alla riscossione delle «rate» del Pnrr che sono l’unica cassa a cui attingere per gli investimenti nazionali. Meloni tuttavia ha scelto finora la prima strada. E il risultato rispecchia le previsioni fatte nei giorni di vigilia dagli «esperti di numeri» della maggioranza. Gli stessi che due settimane fa avevano preannunciato con un certo anticipo la sconfitta «di misura» di Truzzu in Sardegna, e che stavolta sostenevano come Marsilio — grazie alle liste in suo sostegno — avrebbe ottenuto «un risultato più netto rispetto alle previsioni demoscopiche». Ma questa versione era stata oscurata dalla campagna mediatica del centrosinistra, galvanizzata dall’idea della «remuntada» sull’onda di una massiccia affluenza alle urne. Cosa che non è avvenuta.

Sia chiaro, il voto in Abruzzo non avrebbe comunque influito sugli equilibri politici. Ma il centrosinistra — dopo la Sardegna — aveva impostato la campagna elettorale facendo affidamento sul test, non solo per saggiare la sua forza ma soprattutto per iniziare a costruire un’alternativa di governo. Nell’opposizione sono consapevoli che la sconfitta rischia di riaprire la conflittualità tra i partiti in vista delle Europee. Pregiudicando magari una possibile intesa in Basilicata, che sarà il prossimo appuntamento Regionale.

Così il processo del campo largo — che in Abruzzo aveva riunito tutte le forze di opposizione — subisce una battuta di arresto, evidenziando come ad oggi l’alleanza non sia altro che un ibrido accoppiamento tra forze divise non solo sulla futura premiership ma anche su temi rilevanti, come la politica estera. Certo, nel Pd la leadership di Schlein appare comunque consolidata in vista del voto di giugno, presupposto necessario per tentare di contenere la spregiudicata tattica delle «mani libere» di Conte. L’Abruzzo tuttavia non è stato l’Ohio d’Italia. E il centrosinistra torna alla casella di partenza.

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11 marzo 2024 (modifica il 11 marzo 2024 | 13:25)