Biden e Trump, i punti di forza e debolezza e la sfida brutale che li attende

di Massimo Gaggi

Gaza, economia, finanziatori: punti forti e deboli dei due sfidanti. Questa sera nel discorso sullo stato dell’Unione, Biden rivendicherà il merito delle cose fatte

Biden e Trump, i punti di forza e debolezza e la sfida brutale che li attende

NEW YORK — «Sceglieremo un presidente per la prima volta da quando, con l’assalto al Congresso del gennaio 2021, è stato puntato un pugnale alla gola della nostra democrazia. Sappiamo tutti chi è Trump. Ora dobbiamo rispondere a un’altra domanda: chi siamo noi?». Fiere parole del presidente americano alle quali il suo predecessore, capovolgendo le accuse dell’avversario, replica: «È Biden che sta distruggendo la democrazia americana. Basta vedere come ha usato la Giustizia contro di me».

Ora che Nikki Haley è uscita di scena e Joe Biden, dominatore delle primarie democratiche, ha ribadito con fermezza che non farà passi indietro, sul ring rimangono solo loro: i due grandi vecchi della politica americana impegnati in un remake della sfida del 2020, ma a parti invertite. Il leader democratico è al governo, quello repubblicano all’opposizione. Non è irrilevante, in un Paese che da vent’anni si sente in declino e tende a darne la colpa ai suoi amministratori. E se quattro anni fa Trump pagò anche una gestione dell’epidemia da coronavirus controversa, ideologica, stavolta Biden, dato perdente da molti sondaggi d’opinione, ha dovuto prendere atto che i buoni risultati dell’economia (forte crescita del Pil, disoccupazione ai minimi, prezzi di nuovo sotto controllo) non fanno crescere la sua popolarità.

E allora il vecchio combattente democratico cambia strategia: considerato da molti, anche a sinistra, troppo debole e confuso, decide che è venuta l’ora di picchiare duro, provando addirittura a far saltare i nervi a Donald Trump. Joe cercherà lo scontro brutale, quasi fisico, col suo avversario. È quello che trapela dal suo team elettorale, ma è anche quello che già si vede nei suoi atteggiamenti pubblici. Del resto era già successo in passato, quando Biden disse che, se si fossero incontrati ai tempi del liceo, lui e Donald sarebbero finiti a fare a botte nel cortile dietro la palestra. Per una volta Trump si era detto d’accordo. Aggiungendo subito di avere un fisico molto più prestante di quello di Biden. Stasera, pronunciando il discorso sullo Stato dell’Unione davanti al Congresso e al Paese, Biden si giocherà il suo jolly: un’occasione straordinaria per rivendicare il merito delle cose fatte, responsabilizzare l’America sulle sfide del futuro, ma anche per aprire le ostilità contro il suo avversario.

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Non potrà usare un linguaggio estremo
nel tempio della democrazia (rischierebbe, tra l’altro, dure contestazioni dei repubblicani di Camera e Senato), ma ormai Biden si è tolto i guanti: proverà a combattere a mani nude per dimostrare l’energia che molti, anche tra i suoi elettori, non gli riconoscono più.

Biden ha il vantaggio di una campagna ben finanziata mentre Trump fatica a trovare donatori, e può continuare a contare sull’appoggio del grosso degli afroamericani. E ha riconquistato, sia pure con affanno, il sostegno dei sindacati. Ma deve fronteggiare anche pesanti handicap: in primo luogo quelli personali legati alla mancanza di carisma e una fragilità fisica che, secondo i suoi assistenti, è più apparente che reale. Ma in politica l’immagine è decisiva. E poi ci sono le difficoltà politiche: quelle legate alla sua vice, Kamala Harris, che non piace nemmeno ai fedelissimi di Biden, e quelle di un partito che deve tenere sotto la sua tenda istanze assai diverse. La guerra di Gaza è il caso più grave: benché sempre più limitato e recalcitrante, il sostegno dato a Israele sta costando a Biden l’appoggio di molti giovani e degli elettori di origine araba, forse decisivi in Michigan, uno Stato-chiave.

Quanto a Trump, ha dalla sua l’entusiasmo di una base minoritaria nel Paese ma vasta e compatta che si è ormai impadronita dell’intero partito repubblicano. I sondaggi per ora gli danno ragione e The Donald, che non ha certo dato buone prove di governo, è un grande comunicatore: sa come attirare l’attenzione dei media, compresi quelli che lo osteggiano, ed è capace di trasformare ogni comizio in una pièce teatrale nella quale minaccia e diverte. Nonostante la sua durezza verso immigrati e minoranze etniche, poi, Trump sta conquistano pezzi importanti (anche se ancora minoritari) dell’elettorato ispanico, sostiene di aver fatto breccia anche tra gruppi di afroamericani: dice di aver conquistato la loro simpatia perché lui è perseguitato dai tribunali, «come succede anche a loro».

Resta da vedere se le incriminazioni, che fin qui lo hanno aiutato costringendo i suoi avversari repubblicani a mostrargli solidarietà, saranno per lui un vantaggio anche alle presidenziali. Ma la vera incognita, per Trump, rimane quella dei moderati repubblicani e degli indipendenti. Secondo i sondaggi, buona parte dei conservatori che hanno scelto Nikki Haley non voteranno Trump: l’ampiezza di queste defezioni sarà decisiva per l’esito della sfida del 5 novembre.


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7 marzo 2024 (modifica il 7 marzo 2024 | 11:33)