Dopo il voto in Sardegna, i sospetti di Meloni e i rischi dalle prossime elezioni: «Salvini non si fermerà»

di Francesco Verderami

L’idea a Palazzo Chigi sul leader leghista: cercherà sempre di dissociarsi. Intanto però: «L’elenco degli errori è lungo», lo riconoscono anche esponenti di primissimo piano di FdI

Dopo il voto in Sardegna, i  sospetti di Meloni e i  rischi dalle prossime elezioni: «Salvini non si fermerà»

Ne è convinta Meloni: «Salvini cercherà sempre di dissociarsi». Nessuno può persuaderla del contrario e nessuno si azzarda a farlo. Non dopo una giornata «un po’ così», che definire storta è un eufemismo: con la sconfitta in Sardegna ancora da metabolizzare, i ragionamenti della premier sono un collage di pensierini andreottiani sul capo della Lega, sulle sue manovre contro Palazzo Chigi che sfidano le leggi della politica e che infatti gli si stanno ritorcendo contro: perché non ha alternative, «non ci sono alternative». Ma nonostante questo «non si fermerà».

Come non bastasse, il voto di domenica ha modificato il timing di Meloni, che immaginava di chiudere a giugno i conti con il segretario del Carroccio. Dovevano essere cinquanta milioni di italiani a fissare una volta per tutte i rapporti di forza nella maggioranza. Invece ora potrebbe bastare un milione e mezzo di elettori per stravolgere lo scenario. Perché se il centrodestra incespicasse in Abruzzo o in Basilicata , la débâcle sarda non sarebbe interpretata come un semplice scivolone sul percorso ma come l’inizio di una fase negativa che potrebbe influire sull’appuntamento delle Europee.

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Ecco il motivo per cui la premier è spietata con sé stessa quando analizza il risultato. «L’elenco degli errori è lungo», lo riconoscono anche esponenti di primissimo piano di FdI. Ma quello su cui si sofferma Meloni è particolare: lo sbaglio è stato rivendicare la candidatura a governatore per il suo partito dopo il durissimo scontro con gli alleati nella trattativa

. È una questione metodologica: chi viene scelto in quelle condizioni arriva indebolito alla sfida elettorale. E Truzzu «così ci è arrivato» e ha perso per una manciata di voti. Ecco l’errore. Peraltro la premier aveva seguito in precedenza quella regola non scritta: in Sicilia, infatti, dopo un altro estenuante braccio di ferro, invitò il governatore uscente Musumeci a non ricandidarsi, per evitare che venisse infilzato dagli alleati nelle urne.

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Proprio quanto sarebbe accaduto in Sardegna. Ma per una volta Meloni non punta l’indice contro Salvini, nel senso che a far mancare quei decimali decisivi non è stata a suo avviso la Lega, che nell’isola non ha un consenso organizzato. Piuttosto è Solinas il principale sospettato, è il Psd’Az che — per vendicarsi — avrebbe manovrato un pezzo del suo elettorato contro Truzzu. Ed è bastato poco per centrare il risultato. Così, per uno dei paradossi della politica italiana, «che è incomprensibile anche agli italiani», la premier deve porre attenzione ai prossimi appuntamenti regionali. Perché se per meno di tremila voti è stata consegnata la vittoria in Sardegna a Pd e M5S, non può permettersi una replica in Abruzzo o in Basilicata.

E c’è un motivo se si avverte un certo allarme. Ieri, dopo il vertice del centrodestra sulle candidature , i delegati hanno informato i loro leader di partito sull’andamento della riunione. Uno di questi ha detto: «Per la Basilicata la Lega fa resistenza, ma è tutta tattica. Alla fine cederà su Bardi, perché poi vuole affossare il candidato di Forza Italia alle elezioni». Ecco perché Meloni non si fida e perché non può mettere la testa sulla riorganizzazione del partito. Non ora, almeno. Forse dopo le Europee, dove — come dicono fonti autorevoli — sarà «condannata a candidarsi», visto che i voti sono suoi, non di FdI.

Una posizione rovesciata rispetto a quella di Salvini, almeno a sentire il dissenso che monta al Nord. Là dove — spiega uno dei maggiorenti leghisti in carica — «stiamo perdendo i militanti storici, gli imprenditori che non vogliono sentir parlare degli estremisti di AfD, gli elettori semplici che ci chiedono cosa siamo diventati e che ci sta a fare Vannacci con noi». Tutto al momento sembra proiettato verso il voto di giugno. E nel Carroccio si discute quale sia la soglia sotto la quale la leadership del Capitano verrebbe messa apertamente in discussione. Anche in quel caso però sembrerebbe (quasi) impossibile spodestare Salvini, perché «se al Nord la segreteria potrebbe essere contendibile, al Sud lui controlla praticamente tutti i delegati».

Il punto è che prima delle Europee ci sono gli appuntamenti di Abruzzo e Basilicata. E se nel primo caso il centrodestra non dovrebbe avere problemi, nel secondo qualche incertezza c’è. Meloni non può permettersi un bis della Sardegna, ed ecco allora che autorevoli pompieri si adoperano da ieri per spegnere ogni focolaio, per «rinsaldare i rapporti tra alleati», perché «non possiamo commettere gli stessi errori». E la premier, con quella faccia un po’ così, quelle espressioni un po’ così, fa mostra di condividere. Ma su Salvini nessuno riesce a persuaderla.

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27 febbraio 2024 (modifica il 28 febbraio 2024 | 16:14)