Il business dei brasiliani in Veneto: «Fino a 3mila euro per avere la cittadinanza italiana»

diMichela Nicolussi Moro

Comuni ingolfati dalle richieste e anche le diocesi attivano lo «Sportello antenati»

Il grido d’allarme è partito dal sindaco di Val di Zoldo, Camillo de Pellegrin, che in segno di protesta ha esposto sulla facciata del municipio una bandiera brasiliana. Ma le 150mila domande di riconoscimento della cittadinanza inoltrate da brasiliani discendenti da avo italiano emigrato in Paesi in cui vige lo «ius soli» stanno ingolfando tutti i Comuni del Veneto, soprattutto i più piccoli. A Tribano, nel Padovano, «l’Anagrafe sta scoppiando», Valdastico sbriga 100 pratiche l’anno a fronte di 1.300 abitanti, Treviso e Vicenza ricevono decine di istanze a settimana, così come altri Comuni bellunesi (Borgo Valbelluna, Sospirolo, Limana, Soverzene, Lozzo, Voltago, Alleghe, Agordo, Rocca Pietore, Canale d’Agordo, Tambre e Fonzaso), costretti ad assumere nuovo personale dedicato, a ridurre gli orari di apertura ai residenti o a pagare gli straordinari ai dipendenti affinché lavorino anche nel fine settimana. 

L'Sos dell'Anci

«Tutto ciò pregiudica il normale funzionamento degli uffici di stato civile — conferma Carlo Rapicavoli, direttore di Anci Veneto, cui i sindaci hanno chiesto aiuto —. Con inevitabili ripercussioni sull’esecuzione degli adempimenti dei servizi demografici, nonostante ci si adoperi per rispettare le scadenze ordinarie ed evadere le richieste dei cittadini, che vantano pari diritti. Gli uffici demografici con le attuali disponibilità di personale a fatica possono far fronte al carico di loro competenza, non potendo, tra l’altro, essere succubi di minacce e diffide ad adempiere da parte di consulenti vari che hanno fatto di tali pratiche l’oggetto principale delle loro attività. E’ necessario un intervento normativo per disciplinare la materia, soprattutto evitando di far gravare sui Comuni un onere divenuto insostenibile».

I costi delle pratiche

Ecco il problema dei «consulenti», in realtà intermediari di non ben precisate agenzie anche online, alimenta quello che è diventato un vero e proprio business. «Non capisco perché i Comuni si lamentino tanto, visto che chiedono da 100 a 500 euro a documento per rilasciare i certificati di nascita e matrimonio degli antenati, contro i 50 euro pagati dai residenti — dichiara l’avvocato Isabel De Lima, con studio in provincia di Napoli e al lavoro su duemila ricorsi collettivi, in rappresentanza di 20 mila assistiti —. Si tratta di un’entrata non di poco conto, ma i municipi non sono gli unici a guadagnarci. Un ricorso in tribunale costa 745 euro, un certificato di battesimo rilasciato dalla Chiesa fino a 80 e se ne pagano 300 solo per iniziare la pratica al consolato italiano in Brasile. È pazzesco, soprattutto perché poi gli sportelli dedicati sono aperti solo due volte la settimana e per mezza giornata». 

Il caso» Soave

Il caso più clamoroso, sul fronte dei costi, è quello del Comune di Soave, che per iniziare e portare a termine l’intera pratica chiede duemila euro, più altri 600 euro l’uno per i certificati di nascita e matrimonio. Il tutto per 400 domande l’anno. Lo certifica una delibera di giunta. «È vero — ammette il sindaco leghista Matteo Pressi — oltre ai diritti di segreteria, dobbiamo chiedere le spese vive. Alcune pratiche sono molto complicate, una nostra funzionaria per un mese si è occupata soltanto della domanda di cittadinanza di tre fratelli. Dobbiamo tornare indietro di cento anni, rispondere a istanze spesso incomplete, non firmate, con nomi e paesi sbagliati, inoltrate senza utilizzare gli appositi moduli. Molte volte chi presenta domanda non sa nemmeno esattamente come si chiama il proprio antenato, ci danno coordinate approssimative basate su ricordi, su dieci ipotesi diverse. C’è da perderci la testa». 

L'ultimo esempio

L’ultima richiesta è arrivata ieri: «Io cerco un Tamellin, che potrebbe chiamarsi Antonio, Mario o Giovanni, ed è nato tra il 1838 e il 1840». Ma di Tamellin ce ne sono con una o due «m», con una o de «l» e intanto l’impiegata deve pure svolgere il lavoro ordinario. «Queste ricerche, svolte anche negli archivi delle parrocchie, costano, non ci guadagniamo su — chiude il sindaco —. Anche perché se non evadiamo la pratica entro i 180 giorni di legge siamo passibili di ricorso al Tar e di richiesta di risarcimento davanti al tribunale civile. E dagli intermediari ci arrivano pacchi di 40 domande al colpo».

Le diocesi

Quanto alle Diocesi, sui loro siti hanno messo a disposizione il «Servizio antenati», con le istruzioni per ottenere il certificato di battesimo o altra documentazione al costo di 60 euro a pratica. «È un rimborso spese per pagare le persone che le parrocchie devono impiegare nel complicato lavoro di consultare i loro archivi, non tutti ordinati — spiegano dalla Diocesi di Vittorio Veneto —. I parroci non ne hanno il tempo».

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30 gennaio 2024 ( modifica il 30 gennaio 2024 | 07:14)