«Project 2025», il piano di Trump che minaccia la svolta autoritaria: funzionari cacciati e vendette giudiziarie

di Massimo Gaggi

Ecco come il tycoon prepara la svolta autoritaria in caso di vittoria alle prossime elezioni

«Project 2025», il piano di Trump che minaccia la svolta autoritaria: funzionari cacciati e vendette giudiziarie

NEW YORK – Scelta di fedelissimi in tutti i 4000 posti chiave del governo e delle agenzie federali per i quali la Casa Bianca ha poter i di nomina. Decapitazione anche delle figure intermedie licenziando i 50 mila funzionari con incarichi amministrativi di rilievo da sostituire con dirigenti fedeli al programma America First del nuovo presidente (la loro selezione è iniziata da tempo, come anche lo studio di meccanismi per aggirare il divieto di epurazioni). “Militarizzazione” del ministero della Giustizia chiamato a eseguire le vendette del nuovo leader contro i repubblicani che lo hanno contestato e i democratici (a partire da Biden) che, secondo lui, lo stanno perseguitando attraverso i tribunali. E, ancora: uso dell’esercito contro le prevedibili manifestazioni di piazza invocando l’Insurrection Act del 1807 per giustificare lo scavalcamento della legge in base alla quale i soldati difendono l’America solo dalle minacce esterne. Infine, caccia agli immigrati senza documenti (richiedenti asilo compresi) da deportare in massa.

Governo autoritario negli Usa: perché non è più fantapolitica
Cupo scenario di fantapolitica? No, sono le intenzioni di Donald Trump se verrà rieletto e quelle delle organizzazioni che si sono coagulate attorno a lui. Impreparate nel 2016, quando l’immobiliarista sceso in politica divenne a sorpresa presidente, stavolta si sono mosse per tempo, decise a smantellare quella macchina amministrativa da loro definita deep State. Che Trump intenda usare il suo (eventuale) secondo mandato alla Casa Bianca, oltre che per compiere vendette a raffica, per governare in modo molto più autoritario completando l’opera di demolizione delle istituzioni di tutela democratica già iniziata nei suoi primi quattro anni da presidente, non è un’ipotesi ma una certezza: ne parla lui stesso apertamente nei comizi. Quando il Washington Post ha scritto, in base a testimonianze anonime, che un Trump di nuovo presidente spingerà il suo ministro della Giustizia a processare Bill Barr e John Kelly (un ministro della Giustizia e un capo di gabinetto da lui nominati) e un capo di Stato maggiore, il generale Mark Milley, reo di essersi opposto all’uso delle truppe contro i manifestanti, Trump non solo non ha smentito, ma in un’intervista a Univision ha di fatto confermato: «Se da presidente vedrò qualcuno che mi attacca pesantemente dirò: incriminatelo». In precedenza aveva proposto la pena di morte per Milley, da lui accusato di alto tradimento. Tutto alla luce del sole, anche la promessa di una svolta autoritaria. Trump non ha mai nascosto la sua ammirazione per dittatori come Putin. Ora ritiene di aver convinto non solo i suoi fedelissimi, ma anche tanti altri americani che l’attuale sistema è da demolire. Userà i quattro processi penali che lo aspettano nel 2024 come tribuna dalla quale accusare Biden di essere il mandante di una persecuzione politica attraverso la magistratura. Per questo ha chiesto che i processi siamo teletrasmessi. Giorni fa, durante un comizio in New Hampshire, ha detto: «Arrestare il proprio avversario è roba da terzo mondo. E se lo fanno loro, posso farlo anch’io».

Trump gioca d’anticipo: «È Biden quello che sta distruggendo la democrazia»
I suoi comizi ripropongono ossessivamente un classico dell’ascesa dei regimi autoritari: la criminalizzazione dell’avversario politico finalizzata a rendere impraticabile il confronto democratico. Lui promette di liberare l’America dalla dominazione di «comunisti, marxisti, fascisti che vivono come parassiti nel nostro Paese rubando, mentendo e truccando le elezioni: vogliono distruggere l’America e il sogno americano». Nei comizi del week end in Iowa è stato ancora più chiaro: in futuro non governerà più coi guanti ma a mani nude (gloves off) mentre Biden «non è il difensore ma il destroyer (demolitore) della democrazia americana». Ormai a considerare la democrazia Usa a rischio e a sollecitare un risveglio delle coscienze non sono più solo i progressisti, ma anche molti conservatori. Robert Kagan, vecchio falco neocon della Casa Bianca di Bush (lasciò il partito repubblicano nel 2016 dopo l’elezione di Trump) ha appena pubblicato sul Washington Post una lunga analisi dal titolo: «Una dittatura di Trump sta diventando sempre più inevitabile: smettiamola di far finta di niente».

Kagan vede la dittatura all’orizzonte (e accusa gli americani di codardia)
Kagan attribuisce la scarsa attenzione dell’America (e del mondo) a questa minaccia a “codardia collettiva” e a mancanza di una forte volontà di difendere la democrazia liberale. Non esagererà? Lui stesso ammette che le cose potrebbero andare diversamente: eventi imprevedibili potrebbero cambiare la traiettoria da lui prevista sulla base dei dati disponibili. Ma lo studioso sostiene in modo convincente che con le elezioni del 2016, quelle del 2020 e quanto è accaduto dopo quel voto, le barriere che tutelano la natura democratica del sistema politico americano sono cadute, una dopo l’altra. E nessuno sembra curarsene: «Come se sapessimo che tra un anno arriverà un asteroide che forse colpirà la Terra, forse no, e non facessimo nulla per proteggerci». Insomma quello di Kagan, come di altri conservatori pragmatici che detestano il populismo autoritario di Trump – ad esempio David Frum o Karl Rove, altri due ex del team Bush – è un estremo appello al risveglio della coscienza democratica degli americani. Ma per molti tra coloro che, pur non essendo supporter di Trump, non ascoltano questi appelli, quelle dell’ex presidente sono solo parole da campagna elettorale che lui, abituato ad esagerare ma privo di capacità amministrative, non saprà tradurre in atti concreti, come nel 2016. Senza contare che le 4000 nomine sulle quali il presidente ha potere d’intervento devono, poi, essere ratificate dal Senato mentre i funzionari delle carriere federali non possono essere licenziati se non per gravi motivi.

Heritage Foundation al lavoro per ridisegnare lo Stato in versione trumpiana
Qui, però, scende in campo la Heritage Foundation, celebre think tank della destra radicale, che da mesi sta selezionando, con l’aiuto delle tecnologie della Oracle di Larry Ellison, decine di migliaia di professionisti sulla base di criteri ideologici e di fedeltà personale a Trump, anziché di competenza: toccherà a loro ridisegnare, in chiave autoritaria, la macchina dello Stato. Accusata da Trump di non avergli proposto nel 2016 figure sufficientemente fedeli, stavolta la Heritage si è mossa in anticipo: ha redatto addirittura un piano di 920 pagine, Project 2025, per rivoluzionare le politiche dello Stato in campo legale, regolamentare, militare, dei servizi segreti e dell’FBI. L’eliminazione di chi osteggia lo stile autoritario sarà affidata a un’operazione denominata Agenda 47. Ai 4mila ministri, ambasciatori, capi delle agenzie federali funzionari di alto rango che ogni presidente ha diritto di nominare, Trump e l’organizzazione che lo assiste ne vogliono aggiungere altri 50 mila di rango inferiore, considerati, comunque, di ostacolo ai suoi piani. La legge, come detto, protegge le carriere dei dipendenti federali, ma Trump già nel 2020, pochi giorni prima delle elezioni, varò un ordine esecutivo (poi annullato da Biden) denominato Schedule F col quale intendeva creare una nuova categoria di lavoratori impegnati in aree politicamente sensibili e quindi licenziabili: lì dovevano finire i 50 mila da eliminare. Un piano che riemergerà con una seconda presidenza Trump. Quanto alle nomine principali, un Senato a maggioranza repubblicana le ratificherà senza fare troppe storie. In caso di maggioranza democratica, il presidente darà ai facenti funzioni poteri analoghi (o quasi) a quelli di chi è in carica a pieno titolo. Del resto, con il Congresso sempre più paralizzato da un’estrema polarizzazione politica, i presidenti, da Obama in poi, hanno fatto sempre più ricorso a nomine provvisorie e ordini esecutivi della Casa Bianca per colmare i vuoti. Intanto la Heritage ha già intervistato e reclutato i primi cinquemila “fedelissimi” pronti a giurare fedeltà al capo e non all’istituzione e conta di selezionarne altri 20 mila nei prossimi mesi. Anche qui, tutto alla luce del sole. Il presidente dell’organizzazione conservatrice, Kevin Roberts, e il direttore del progetto, Paul Dans, se ne vantano pubblicamente: «Mai avevamo messo in piedi un movimento così massiccio e un piano così vasto per scardinare questo deleterio stato amministrativo».


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5 dicembre 2023 (modifica il 5 dicembre 2023 | 08:10)