10 novembre 2023 - 06:43

Liste di attesa per visite ed esami: ecco i trucchi per nascondere i ritardi

di Milena Gabanelli e Simona Ravizza

shadow
L’ultima novità è che le liste d’attesa non esistono! Eppure ciascuno di noi ogni volta che è alle prese con la prenotazione di una visita medica o di un esame diagnostico sa bene come funziona: o paghi o ti arrangi. Ma quanto tempo realmente passa fra la prescrizione del medico e l’erogazione del servizio che riceviamo come pazienti? Il dottore di famiglia o lo specialista indicano il codice di priorità sulla ricetta: se urgente, il sistema sanitario nazionale deve garantire la prestazione in 72 ore; se c’è il codice «breve» entro 10 giorni; se è differibile entro 30 giorni per una visita, e 60 per un esame; entro 120 giorni se si tratta di prestazioni programmate. In quale percentuale i tempi indicati sono rispettati? E c’è un controllo efficace per intervenire dov’è necessario? Vediamo come i cittadini continuano a essere presi in giro.
Perché finora ci hanno imbrogliato

Finora non ci sono mai state analisi sui tempi di attesa con numeri attendibili che provengono da fonti istituzionali indipendenti: come già denunciato in un Dataroom del maggio 2022 (qui) il sistema di monitoraggio previsto per legge non funziona (qui). Il motivo? Sui siti regionali sono pubblicati migliaia di dati, ma ogni Regione è libera di utilizzare il criterio di raccolta che più le fa comodo: i risultati dei tempi di attesa non sono differenziati in base al codice di priorità, i giorni indicati possono essere una previsione o quello che in realtà il paziente ha dovuto attendere, possono essere presi in considerazione solo gli ospedali più efficienti, oppure un giorno-indice, ecc.. Insomma, non c’è una linea guida comune e nessuna trasparenza sulla situazione reale, che era invece lo scopo delle legge voluta nel febbraio 2019 dall’allora ministro Giulia Grillo.

La settimana-campione

Per risolvere un problema bisogna innanzitutto conoscerlo. Partendo da questo assunto l’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), che fa capo al ministero della Salute, con la Fondazione The Bridge, ha realizzato un progetto-pilota: alle Regioni sono stati chiesti i tempi di attesa di 14 visite e 55 prestazioni di diagnostica su una settimana campione, dal 22 al 26 maggio 2023. L’obiettivo è di portare alla luce tutta la verità sulle liste di attesa, con un criterio di raccolta dei dati che superasse le criticità denunciate. I risultati dell’analisi, per la prima volta, mostrano in modo inconfutabile i trucchi che vengono adottati per fare sembrare sulla carta che il problema non c’è.

I dati delle Regioni

Nove Regioni preferiscono continuare a trascurare il problema, o non riescono ad avere idea di quanto tempo deve attendere un cittadino per ogni singola visita o esame: Valle d’Aosta, Bolzano, Molise e Puglia hanno ignorato la richiesta di Agenas; Lombardia, Liguria, Basilicata e Sicilia non sono state in grado di produrre i dati; quelli della Calabria non sono utilizzabili perché incompleti. Invece 6 Regioni hanno risposto fornendo i tempi di attesa di 2-3 ospedali: Veneto, Lazio, Abruzzo, Campania, Umbria e Sardegna, per un totale di 23.656 visite e 24.478 esami. Hanno invece fornito tutte le informazioni richieste il Piemonte, Trento, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Marche, per un totale di 101.265 visite e 122.208 esami.

Il primo appuntamento disponibile

Prendiamo in considerazione 3 esami diagnostici e 2 visite da garantire entro 10 giorni e vediamo qual è il primo appuntamento disponibile all’interno dell’Asl di riferimento del paziente. Il 78% delle Tac, il 67,5% delle risonanze magnetiche e il 78% delle ecografie all’addome risultano erogate nei tempi di legge.

Concentriamoci sui casi più eclatanti. Piemonte e Sardegna riescono a garantire addirittura il 100% delle Tac e delle risonanze magnetiche, Campania e Lazio il 100% delle risonanze magnetiche, il Piemonte il 99,6% delle ecografie all’addome.
Abruzzo e Campania il 100% delle visite cardiologiche;
l’Abruzzo il 100% delle visite ortopediche.
Sembra di sognare! Anche con dati raccolti ed elaborati in modo corretto i risultati appaiono in gran parte ingannevoli. Perché?
Il gioco delle tre carte

I tempi di attesa monitorati dalle Regioni prendono in considerazione il numero di giorni che trascorrono dalla chiamata del paziente al call center (Cup) per prenotare alla data dell’appuntamento. Se però gli rispondono che in quel momento non c’è posto e lo invitano a ritelefonare dopo una settimana o due, la data che farà fede è quella della seconda chiamata, nella quale l’operatore fisserà effettivamente l’appuntamento. Della prima richiesta del paziente non resta traccia, anche se in realtà la sua attesa è iniziata da allora. In questo modo però tutti i tempi di prenotazione risultano più brevi. La prova che il meccanismo è diffuso la troviamo nei dati di Agenas che contano, e per la prima volta, quanto tempo trascorre da quando io ho in mano la ricetta del medico a quando telefono al Cup per prendere l’appuntamento. Solo il 18% lo fa il giorno stesso o il giorno dopo, se deve fare l’esame in 72 ore; il 41% se deve farlo in 10 giorni; il 51% se deve farlo entro 60. É paradossale: prima devo avere un esame o una visita, più tardi chiamo. Non può succedere davvero così. È ragionevole pensare che io la telefonata al Cup la faccio subito, ma solo al 18% viene dato l’appuntamento, e infatti ne rimane traccia. A tutti gli altri viene detto di richiamare perché non c’è posto. Se ne deduce che di quell’82% una parte non farà la visita nei tempi previsti, e un’altra parte si rivolgerà alla Sanità a pagamento. L’Osservatorio sui consumi privati in Sanità (Cergas-Bocconi) stima che su 100 esami 21 sono a pagamento; e 41 su 100 visite mediche.
L’altro problema è che i dati comunicati dalle Regioni si riferiscono solo alle telefonate fatte al call center che, nella realtà, spesso intercetta solo una parte delle richieste (non quelle, per esempio, fatte agli sportelli). Ciò emerge andando a vedere il numero di prenotazioni fatte per mille abitanti: è realistico che nell’Asl di Roma 1 e Rieti nella settimana tra il 22 e il 26 maggio solo 30 pazienti abbiano avuto bisogno di prenotare una Tac entro 10 giorni oppure che nell’Asl di Oristano solo 2 avessero bisogno di una risonanza magnetica sempre entro 10 giorni? Lo stesso vale per le visite: possibile che in tutto il Piemonte solo in 376 abbiano bisogno di una visita cardiologica? In Emilia-Romagna, che può essere considerata una Regione benchmark le prenotazioni sono intorno a 1 per 1.000 abitanti. Dove ci sono percentuali inferiori vuol dire che i dati non intercettano le vere richieste dei cittadini. E quindi come si risolve questa piaga se i direttori generali mascherano la realtà?

Le scelte dei cittadini

Infine, ci sono anche i pazienti che scelgono una data d’appuntamento diversa da quella proposta dal Cup, e in un caso su due aspettano di più. Quasi l’80% lo fa per andare in una struttura, o addirittura in un reparto, diversi da quelli proposti, dove pensano di essere seguiti meglio.

Qui però non si può puntare il dito contro nessuno, si tratta di ritardi subordinati a una libera scelta del paziente.
Dataroom@corriere.it
© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT