Esteri

Si stringe la caccia a Sinwar, raid nella notte per trovare il bunker del capo di Hamas

Sinwar parla ai suoi sostenitori il 14 aprile scorso

Sinwar parla ai suoi sostenitori il 14 aprile scorso

 (afp)

Il leader del gruppo jihadista è il bersaglio prioritario dell’operazione israeliana. Il ministro della Difesa: la sua morte renderà più breve la guerra

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L’intera offensiva israeliana a Gaza ha un bersaglio principale, la cui cattura o uccisione potrebbe forse anticipare la fine dell’assalto terrestre: Yahya Sinwar, il grande capo di Hamas. “Lo prenderemo e lo elimineremo”, ha dichiarato sabato il ministro della Difesa Yoav Gallant. Poi ieri si è rivolto al popolo palestinese: “Se lo ammazzate prima che lo facciamo noi, questo renderà più breve la guerra”.

Finora aviazione, marina ed esercito israeliani hanno colpito 2.500 obiettivi nella Striscia. Ma l’unico in grado di frenare la macchina bellica che sta stringendo Gaza City è la morte di Sinwar, l’uomo che ha forgiato l’organizzazione militare del movimento jihadista e ha concepito il massacro del 7 ottobre. Se prima la ricerca era affidata alle intercettazioni delle telefonate e ai rapporti degli infiltrati nel territorio palestinese, adesso viene portata avanti con l’analisi dei documenti sequestrati nelle basi espugnate durante i raid e soprattutto con gli interrogatori dei miliziani catturati nell’avanzata dei tank. La convinzione dell’intelligence è che sia nascosto nella rete di cunicoli costruita nell’area dell’ospedale di Shifa e che, contrariamente alla sua abitudine, non si stia spostando nel timore di incappare nelle incursioni delle forze speciali. Allo stesso tempo, gli israeliani si starebbero accanendo contro ogni veicolo, ambulanze incluse, che si muove dalla zona di Shifa per impedire che Sinwar o i suoi luogotenenti possano raggiungere un rifugio più sicuro.

Per sfuggire ai blitz, per anni il leader di Hamas ha sempre cambiato casa ogni notte. Adesso però sembra avere le ore contate: ieri il Financial Times ha pubblicato un ritratto che, parafrasando il termine usato negli States per i condannati alla pena capitale, lo ha definito “l’uomo morto che cammina”.

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L’ascesa al vertice di Hamas

La sua fama e la sua autorità sono cresciute proprio durante i 21 anni di detenzione nelle carceri israeliane: la condanna per l’omicidio di dodici palestinesi sospettati di collaborare con lo Shin Bet. Esecuzioni crudeli: in un’occasione ha obbligato un uomo a seppellire vivo il fratello. “In cella ha studiato l’ebraico. Ha letto libri su Kabotinsky, Begin, Rabin e su tutte le figure israeliane più importanti. Ha imparato a conoscerci dal basso fino alle vette più alte”, ha raccontato Micha Kobi, che lo ha interrogato per conto del servizio segreto nel 1989 quando la neonata Hamas aveva appena iniziato il suo percorso di sangue tra i manifestanti della prima intifada.

Yahya Sinwar oggi ha 61 anni e da almeno quaranta gli apparati di sicurezza israeliani si occupano delle sue attività. Ma lui è riuscito a convincerli di avere focalizzato il suo interesse sulle rese di conti interne ad Hamas piuttosto che sugli attentati contro lo Stato ebraico. Fino al 7 ottobre, i rapporti degli 007 lo indicavano come dedito al consolidamento del potere nell’organizzazione e alle trattative per ottenere benefici economici. Una valutazione a cui aveva contribuito la sua intervista a una televisione di Tel Aviv in sostegno della necessità di una tregua generale: “Ci rendiamo conto - aveva detto in perfetto ebraico - che Israele dispone di duecento testate nucleari e ha l’aviazione più potente della regione. Sappiamo di non avere la capacità di smantellare Israele”.

"Crudele, furbo, manipolatore”

Non avere compreso le reali intenzioni di Sinwar è stato il preludio alla catastrofe dell’intelligence che ha permesso la strage del Sabato Nero e l’uccisione di 1.400 israeliani. Il suo profilo stilato durante la detenzione - riportato dal Financial Times - lo bollava come “crudele, autorevole, influente, con doti straordinarie di resistenza, furbizia, manipolazione e la predisposizione a trascinare la folla”. È in prigione che è cresciuto, fino a diventare il capo di tutti i detenuti di Hamas. E neppure l’intervento chirurgico con cui i medici israeliani nel 2004 hanno rimosso una cisti accanto al cervello, salvandogli la vita, ha rallentato la sua ascesa. Nel 2011 è stato rilasciato assieme ad altri mille reclusi palestinesi in cambio della liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano tenuto in ostaggio a Gaza. Sei anni dopo è stato eletto al vertice di Hamas, sostituendo Ismail Haniyeh, promosso a leader politico e poi mandato in Qatar: di fatto una rimozione.

È stato l’apice di una carriera iniziata nelle catapecchie di Khan Younis, nella zona sud della Striscia: nell’infanzia il suo vicino di casa era Mohammed Deif, oggi capo militare dell’organizzazione. Una scalata al potere proseguita facendo da consigliere allo sceicco Ahmed Yassin, il fondatore di Hamas. Durante la leadership di Sinwar però il movimento fondamentalista ha calibrato l’uso della forza, con le proteste e soprattutto con il lancio di razzi, per spingere Israele a intraprendere colloqui indiretti attraverso la mediazione egiziana, qatarina o delle Nazioni Unite e ottenendo così concessioni mai viste prima. Uno schermo diplomatico per nascondere i piani dell’attacco più spietato. “Non è certo una persona umile – ha raccontato un funzionario straniero che lo ha incontrato più volte - Ha un ego enorme e si sente investito di una missione. Non si preoccupa di sacrificare migliaia di vite pur di raggiungere i suoi scopi”.

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Il bersaglio dei bombardamenti sono le gallerie

Ora nell’inferno di Gaza lui è l’obiettivo prioritario. Sin dalle prime ore dell’assalto terrestre, nuclei di incursori si sono spinti nell’area dell’ospedale di Shifa per tentare di colpire il suo nascondiglio. Non è un’impresa facile. L’intelligence ritiene che sotto e intorno il polo clinico ci siano dozzine di gallerie su più livelli: si spingerebbero fino a 15 metri di profondità. Sono il bersaglio di bombardamenti con ordigni speciali, chiamati bunker-buster, che vanno avanti da giorni, con un numero altissimo di vittime civili. Anche questa notte, mentre si verificava l’ennesimo blackout delle connessioni internet, nella stessa zona l’oscurità è stata squarciata da esplosioni colossali. Alcune sembravano provenire dal sottosuolo, come se fossero l’effetto di cariche fatte detonare nei cunicoli con fiammate che emergevano dagli accessi.

Si è sparsa la voce che forze speciali israeliane fossero penetrate nelle catacombe, nel tentativo di liberare alcuni ostaggi o di irrompere nel bunker di Sinwar. Ma sono notizie senza riscontro, avvolte nella nebbia di guerra che rende difficile conoscere cosa realmente avviene nella Striscia.

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