Economia

Tim, futuro senza rete, accettata l’offerta di Kkr. E Vivendi scatena i legali

Tim, futuro senza rete, accettata l’offerta di Kkr. E Vivendi scatena i legali
(reuters)

Il cda vende l’infrastruttura al fondo americano, il closing in estate

Nuova trattativa per Sparkle. I francesi: “Illegittimo non ascoltare i soci”. Il Tesoro e F2i pronti a entrare. Alla fine Telecom ridurrà il debito di 14 miliardi

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Milano — Dopo tre giorni di lunghe riunioni il consiglio di amministrazione di Tim decide di vendere la propria infrastruttura di rete al fondo americano Kkr. La delibera finale è stata presa con 11 voti a favore e tre contrari, mentre il rappresentante di Cdp non era presente. I tre voti contrari, secondo ricostruzioni attendibili, sarebbero quelli dei tre consiglieri indipendenti Giulio Gallazzi, Ilaria Romagnoli e Marella Moretti. Il prezzo fissato per la transazione è di 18,8 miliardi di euro, che potrebbe salire di 400 milioni se entrassero in vigore incentivi di settore entro fine 2025 e di altri 2,5 miliardi se si effettuerà la famosa fusione con Open Fiber, al momento impossibile per motivi di antitrust. Nel ramo d’azienda oggetto della vendita non è però compresa Sparkle, la società che controlla i cavi di telecomunicazione sottomarini, oggetto di un’offerta separata da parte di Kkr ma che non è stata ritenuta congrua dal cda di Tim. Così l’ad Pietro Labriola è stato autorizzato a cercare un’offerta migliore mentre Kkr farà un’offerta vincolante entro il 5 dicembre.

Secondo la roadmap approvata ieri, per arrivare alla chiusura definitiva dell’operazione, prevista per l’estate 2024, Labriola dovrà effettuare due passaggi propedeutici. In primo luogo far confluire «la rete primaria, l’attività wholesale e la partecipazione in Telenergia», dentro Fibercop, la società dove due anni e mezzo fa era stata scorporata la rete secondaria. Il secondo passo sarà vendere a Kkr il 58% di Fibercop che attualmente è in mano a Tim. Sarà questo il passaggio in cui si definisce la parte cash dell’operazione, che dovrebbe essere pari a 6,5 miliardi visto che Kkr aveva già versato 1,8 miliardi per il 37,5% di Fibercop e ha da poco concordato con le banche un finanziamento di 10,5 miliardi. Solo a questo punto interverrà anche il Mef che ha stanziato 2,5 miliardi per acquistare il 100% di Sparkle e fino al 20% della scatola che controllerà la rete. A fianco di Kkr e del Mef scenderà in campo anche il fondo F2i versando un miliardo per una quota tra il 10 e il 15%. Dunque alla fine l’esborso cash di Kkr sarà di altri 4 miliardi per avere il 65% della società della rete.

Secondo questo schema la vendita della rete primaria a Kkr-Mef-F2i permetterà a Tim di rimborsare 14 miliardi di indebitamento su un totale di 20,5. «Al closing, Tim beneficerà di una struttura di capitale solida con un rapporto fra debito netto ed Ebitda inferiore a 2 volte», recita il comunicato di ieri sera. Dentro Tim rimarrà l’attività commerciale al dettaglio, quella verso le imprese e Tim Brazil. Ma niente si dice riguardo a due temi chiave come il contratto (master service agreement) che regolerà in futuro i rapporti tra Tim e Fibercop, e il numero dei dipendenti che usciranno da Tim per confluire in Fibercop. Punti cruciali per capire la reale sostenibilità di Tim a valle dell’operazione di scorporo della rete, più volte sollevati dal principale socio, la francese Vivendi, con il 23,75%, che si oppone al piano. «I diritti degli azionisti di Tim sono stati violati e la decisione del cda è illegittima», hanno scritto i francesi dopo la delibera del cda -. Vivendi utilizzerà ogni strumento legale a sua disposizione per contestare questa decisione e tutelare i suoi diritti e quelli di tutti gli azionisti».

La decisione di Tim è stata contestata anche dal fondo Merlyn, che nei giorni scorsi aveva presentato un piano alternativo a quello di Labriola che prevede il mantenimento della rete in capo a Tim e la vendita del servizio commerciale e di Tim Brazil. «Adottare una delibera di tale importanza per il destino dell’azienda, peraltro non all’unanimità, senza ascoltare tutti gli azionisti, costituisce una mancanza di rispetto del mercato e dei più basilari principi di buona governance aziendale». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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