Gaza, il mistero del diesel esaurito: «Eppure le riserve di Hamas sono piene»

di Davide Frattini

Il destino degli ostaggi si gioca anche sui rifornimenti di carburante. Israele mostra immagini satellitari. Fino al 7 ottobre due terzi dei megawatt per i civili di Gaza erano forniti da Israele

Gaza, il mistero del diesel esaurito: «Eppure le riserve di Hamas sono piene»

GERUSALEMME «Guarda fuori — diceva dal buio dello scantinato — le luci sono accese negli uffici e nelle moschee di Hamas». Che Guevara — così gli piace farsi chiamare, ne porta la barbetta e il cappello alla rivoluzionaria — è stato tra i pochi a cercare di ribellarsi ai fondamentalisti, a far scendere la gente nelle strade immiserite di Jabalya. È durata poco, come poco durava già allora l’elettricità in tutta Gaza.

La questione del carburante è al centro delle trattive mediate dall’Egitto e dal Qatar per il rilascio di altri ostaggi. La richiesta degli jihadisti è stata respinta da Israele che — anche in tempi di relativa calma — ha inserito il gasolio nella lista dei materiali a «doppio uso», cioè pure militare, perché può andare a riempire i serbatoi dei razzi lanciati contro le città israeliane.

Soprattutto perché la rete di tunnel e bunker sotterranei scavati negli anni dai fondamentalisti ha bisogno di diesel per i generatori. Là sotto serve luce e un sistema di riciclo dell’aria. Lo Shin Bet, i servizi segreti interni, pensano di poter spingere i capi dell’organizzazione a dover emergere dalle gallerie.

In tempi di tregua il Cogat, il Coordinamento delle attività governative nei territori, permette l’ingresso di carburante dai valichi con regole rigide: le cisterne non possono fare soste fino alla centrale elettrica o ai punti di distribuzione dove dovrebbero essere presenti gli ispettori delle Nazioni Unite. La centrale è stata bombardata due volte nei precedenti conflitti e funziona in parte, in ogni caso non coprirebbe il fabbisogno totale per gli oltre due milioni di abitanti ammassati nel corridoio di sabbia. Fino ai massacri del 7 ottobre e all’assedio imposto da Yoav Gallant, il ministro della Difesa, due terzi dei megawatt erano forniti da Israele.

Le rare proteste contro Hamas, le dispute dei fondamentalisti con l’Autorità palestinese, che è parte del complesso meccanismo per i pagamenti delle forniture: tutti ingranaggi messi in moto dal gasolio o dalla sua mancanza. I fondamentalisti — che spadroneggiano sulla Striscia dal 2007 dopo averla tolta con le armi al presidente Abu Mazen — esigono dagli abitanti il pagamento di una bolletta fissa e — ogni volta che la crisi energetica si è acuita — è intervenuto il Qatar a sborsare milioni di dollari portati ai boss dell’organizzazione in valigie, ricevuto il beneplacito di Benjamin Netanyahu, il premier israeliano. «Con tutti questi soldi avrebbero potuto aggiustare la centrale elettrica», calcola un oppositore al regime jihadista.

I portavoce dell’esercito israeliano hanno anche mostrato le immagini satellitari dei depositi di carburante vicino a Rafah, verso il confine con l’Egitto, e dichiarano che conterrebbero mezzo milione di litri, riserva accumulata da Hamas per sostenersi durante le battaglie.

25 ottobre 2023 (modifica il 26 ottobre 2023 | 08:08)