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Arriva l’indennità di discontinuità per chi lavora nello spettacolo. Le proteste: «Un’elemosina»

di Nicola Bracci

Arriva l'indennità di discontinuità per chi lavora nello spettacolo. Le proteste: «Un'elemosina»

«Il mondo dello spettacolo lo chiedeva da decenni e finalmente noi siamo riusciti a realizzarlo, fatemi dire, anche in un tempo relativamente breve». Così il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, il 28 agosto ha accolto l’approvazione in Cdm dello schema di decreto legislativo che «consacra l’ indennità di discontinuità» a vantaggio dei lavoratori dello spettacolo. La legge Delega risale al 15 luglio 2022 ma la questione - come sottolinea lo stesso Sangiuliano - è annosa. E riguarda tutte quelle persone che, quando cala il sipario o termina una tournée, si ritrovano in una condizione assimilabile alla disoccupazione, pur continuando a creare, produrre, preparare lo spettacolo successivo. È quel che si dice lavoro discontinuo, anche se discontinua è la retribuzione, più che il lavoro.

Distante dalle premesse

Il percorso legislativo impostato dalle commissioni Lavoro e Cultura del governo Draghi, mirato a normare l’intero comparto, senza distinzioni tra dipendenti e autonomi, è giunto ora alle battute conclusive. L’attuale esecutivo attribuisce alla misura una portata innovatrice, anche alla luce delle forti criticità emerse nel biennio del Covid, quando le restrizioni hanno paralizzato il settore degli eventi dal vivo, penalizzando indotto e lavoratori. Secondo le stime, dal 2019 al 2020 il mondo dello spettacolo perso complessivamente 8 miliardi di euro e circa 1 lavoratore su 5 si è visto costretto a cambiare impiego o a espatriare in cerca di condizioni più favorevoli.

Tuttavia, mentre la politica rivendica orgogliosamente la normativa, all’interno del settore si fa spazio in questi giorni più di qualche perplessità. Per Chiara Chiappa, presidente della Fondazione Centro Studi Doc, si può parlare di misura complessivamente «peggiorativa». Tanto sul piano tecnico quanto su quello “filosofico”, per dirla con l’Associazione Unita - l’Unione nazionale interpreti teatro e audiovisivo - che prende atto «dell’impegno del Governo» ma definisce la norma «un ulteriore ammortizzatore depotenziato e poco efficace», da considerarsi «molto distante» dalle «premesse condivise presenti nella legge Delega».

A quanto ammonta e a chi spetta l’indennità

Il primo punto contestato è proprio l’entità del versamento. Supponendo una base di 6.000 euro lordi, che sono il risultato di 60 giornate di lavoro retribuite 100 euro ciascuna, va considerato il 60%: 3.600 euro lordi. Dividendo questa cifra per 3 si ottiene l’assegno che dal 2024 finirà in tasca a chi rispetterà i requisiti di accesso all’indennità. Sono in totale 1.200 euro lordi, una tantum, a cui va applicata un’aliquota Irpef del 23%: 924 euro netti.

Per come è stata presentata (ora ci sarà spazio per proporre e votare emendamenti), la bozza riserva il sostegno a chi nell’anno precedente alla presentazione della domanda, senza superare la soglia dei 25.000 euro di reddito, ha lavorato con contratto a tempo determinato, da intermittente a tempo indeterminato o da autonomo, per almeno 60 giornate accreditate al Fondo Pensionistico Lavoratori Spettacolo (FPLS). Rispettati tutti i parametri, si potrà incassare il 60% di quanto guadagnato in un terzo delle giornate lavorative accreditate nell’FLPS.

Zone grigie

Un altro nodo attiene invece al piano “filosofico” di cui sopra. All’articolo 1, comma 1, del testo normativo si definisce il carattere strutturalmente discontinuo degli appartenenti alle categorie citate, ma non si fa menzione degli intermittenti a tempo indeterminato. Cioè di tutti quei lavoratori “a chiamata” che nel periodo della pandemia non hanno beneficiato di sostegni proprio perché non riconosciuti come discontinui. A differenza dei contratti a termine - cui spetta la Naspi - e degli autonomi - che ricevono l’Alas, l’indennità specificamente riservata ai lavoratori autonomi dello spettacolo. Naspi e Alas che, a parità di situazione contributiva, sono ben più corpose dell’assegno in esame (entrambe garantiscono il 75% delle retribuzioni percepite per la metà delle giornate accreditate nel fondo pensionistico) e vengono erogati entro 1 o 2 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. La nuova indennità di discontinuità, salvo modifiche, sarebbe invece erogata a giugno dell’anno successivo alla presentazione della richiesta.

«Questo decreto sarebbe stata l’occasione giusta per inquadrare come discontinui anche gli intermittenti a tempo indeterminato, che da questo punto di vista vivono in una zona grigia che li penalizza da sempre. Ma si è scelto di non farlo», commenta Chiara Chiappa, critica su tutta la linea. «Il Governo ci ha chiesto di presentare ulteriori proposte entro l’11 settembre e così faremo», conclude. «Perché allo stato attuale il decreto, più che un sostegno alla cultura, ci sembra un’elemosina alla miseria. Nel nostro Paese chi opera in questo settore non è incentivato a investire su se stesso».

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