La violenza di Palermo e la cultura dello stupro: la pornografia mainstream online ha un ruolo?

Alice Scaglioni

Limitare l’accesso ai contenuti porno da parte dei minori può essere un modo per prevenire gli stupri?

A suggerirlo, al margine dei lavori del Meeting di Rimini, è stata la ministra per la Famiglia, la natalità e le Pari opportunità Eugenia Roccella. «Abbiamo un disegno di legge che mira alla prevenzione (delle violenze, ndr), attraverso misure cautelari. Però è chiaro che casi come quello di Palermo non si possono risolvere solo con una legge, anche la migliore: bisogna intervenire sul piano educativo e sulla fruizione del porno per i minorenni». Anche Rocco Siffredi, ancora oggi uno dei più famosi attori del mondo porno, si è detto d’accordo con le affermazioni della ministra, schierandosi a favore dello stop ai contenuti pornografici per chi non ha ancora 18 anni. «Questo dibattito va approfondito, perché oggi è più che mai necessaria una riflessione sulla questione educativa», ha aggiunto Roccella in un post su Facebook, citando le parole di Siffredi.

Il tema non è nuovo, se ne discute da tempo. Nel Regno Unito ha scatenato un dibattito la crescente popolarità dei contenuti pubblicati sulla piattaforma Everyone’s Invited. Creata nel giugno 2020 da Soma Sara, raccoglie le testimonianze di sopravvissute e sopravvissuti a molestie e violenze. Molti raccontano episodi avvenuti durante l’adolescenza (ma anche prima), la maggior parte dei quali legati all’ambiente scolastico. Nel Paese gli esperti si sono chiesti se questo incremento della cultura dello stupro — che per definizione è un insieme di comportamenti che tendono a normalizzare, minimizzare e deridere la violenza e l’abuso sessuale, all’interno di una visione della società in cui le donne vengono viste come «inferiori» rispetto agli uomini — fosse da ricollegare alla crescente diffusione del porno online.

Per Roger Ingham, professore di psicologia della salute e di comunità e direttore del Centro per la ricerca sulla salute sessuale presso l’Università di Southampton interpellato dal Guardian, anche se si scoprisse che gli autori di stupri e violenze guardano porno, non sarebbe chiaro se la colpa possa essere attribuita alla sola pornografia, quanto piuttosto a un insieme di elementi.

«Non possiamo fare pornoterrorismo», dice al Corriere Sabina Fasoli, psicologa esperta in sessuologia e divulgatrice che sui social parla di educazione sessuale e tabù (su Instagram è @psychandlove). « A determinare comportamenti e pensieri violenti è una intersezione di fattori— spiega—. La letteratura dice che l’esposizione precoce a contenuti pornografici può portare a comportamenti maschilisti e violenti, ma non c’è una correlazione diretta, perché ci sono più elementi, legati a fattori sociali, culturali, personali e familiari, che hanno un peso maggiore e portano a questo risultato».

Ma c’è anche chi pensa che il porno abbia un ruolo non marginale nella diffusione della cultura dello stupro. «Non siamo qui per demonizzare nessuno, ma i oggi dati ci dicono che i bambini e gli adolescenti sono esposti con regolarità a una pornografia violenta, aggressiva e facilmente accessibile — dice al Corriere Elena Martellozzo, professoressa associata di Criminologia alla Middlesex University di Londra —. Una ricerca che abbiamo condotto ci ha suggerito che il 70% dei ragazzi che guardano video porno percepisce le donne come oggetti sessuali, contro il 30% di chi non è esposto a contenuti di questo tipo». Un altro tema da tenere in considerazione, aggiunge la criminologa, è quanto la pornografia influenzi i comportamenti dei ragazzi e delle ragazze nell’intimità: «Oltre il 40% dei maschi intervistati e poco meno del 30% delle femmine hanno detto di aver preso ispirazione dal porno durante un rapporto sessuale. Per questo speriamo che la legislazione possa cambiare questo accesso così libero. A breve in Inghilterra per poter fruire dei contenuti pornografici bisognerà non solo essere maggiorenni — cosa che già è prevista —, ma anche provarlo. Non è facile capire come fare, ma i lavori vanno in questa direzione». Il problema, spiega Martellozzo, riguarda infatti i bambini che «già all’età di 8 o 9 anni vengono esposti a questo materiale»: per loro, la fruizione di questi filmati «può essere traumatizzante». «Non vogliamo che sia la pornografia a insegnare ai bambini cos’è il sesso, altrimenti stiamo crescendo una società con una sessualità problematica».

Lo dicono i dati raccolti nel corso degli anni e lo confermano anche gli esperti: la pornografia viene spesso usata, impropriamente, per «imparare», soprattutto dove l’educazione sessuale non trova spazio nei luoghi dedicati alla formazione personale degli individui. Si guardano i video per capire, per prendere ispirazione, per farsi un’idea di cosa sia, nella pratica, il sesso, come diceva Martellozzo. Ma secondo la dottoressa Fasoli questo non è necessariamente un fatto negativo. «In una cultura come la nostra, in cui non è diffusa l’educazione sessuale, l’uso della pornografia può avere dei vantaggi in questo senso. Quello che è da condannare non è la pornografia in sé, ma la mancanza di schemi educativi che facciano comprendere ai ragazzi che quello che vedono nei film non corrisponde alla realtà».

Già, cosa imparano i nostri ragazzi dal porno? Se lo chiedeva il New York Times Magazine già nel 2018, e ce lo chiediamo sempre più spesso anche noi oggi, alla luce di eventi che scuotono la comunità, come la violenza di Palermo. La pornografia è un veicolo di standard di bellezza molto rigidi, così come di stereotipi di genere sessisti: la donna sottomessa, l’uomo dominante. Ci sono delle eccezioni: Greta Sclaunich su 7 aveva parlato con la regista svedese Erika Lust proprio della necessità di portare il porno per le donne ad avere una maggiore visibilità («le persone, sia uomini che donne, guardano quello che si trova gratis online non necessariamente perché lo amino o si sentano rappresentate da ciò che vedono. Spesso lo guardano solo perché pensano che sia l’unico possibile. E finiscono col credere che è così che dovrebbe essere il sesso, anche nella vita reale»), con l’obiettivo di porre fine alla «pornografia non egualitaria». Ma sono, appunto, eccezioni. Ancora oggi il porno è un mondo fatto per lo più di contenuti pensati per uno sguardo (e per fantasie) maschili, in cui la donna è quasi sempre subordinata al piacere del protagonista del sesso opposto. E anche quando si parla di contenuti che mostrano soltanto donne, il punto di vista è sempre quello maschile. Tradotto: si pensa che dall’altra parte dello schermo ci sia sempre un uomo ed è a lui che ci si rivolge.

«La pornografia rappresenta un tipo di rapporto in cui la donna è sottomessa — dice Martellozzo —. I dati evidenziano che i ragazzi vogliono sperimentare quello che vedono e le ragazze intervistate hanno detto di essere preoccupate dalle pressioni che il loro partner potrebbe esercitare per emulare quello che c’è online. Questo non significa che la volontà di replicare ciò che vedono nei contenuti porno si traduca automaticamente in stupro. Ma se questo desiderio carnale indotto dal porno si innesta in un ambiente criminogeno, possiamo dire che la pornografia è una concausa».

Per Lea Melandri, scrittrice, giornalista e femminista, «è troppo facile puntare il dito contro la pornografia quando ci sono casi come quello di Palermo. Lo si fa per non affrontare la “normalità del sessismo”, quelle molteplici forme di violenza che io definisco “invisibili” perché sono considerate normali». Un esempio? L’immagine della donna che ancora oggi veicola la pubblicità, spiega. «Nelle pubblicità per vendere i materassi c’è sempre una figura femminile seminuda. Pochi giorni fa il caso di una donna ricoperta di cioccolata su una tavola imbandita per il buffet dei dolci in un resort. Cosa può pensare un bambino davanti a queste immagini? Che la donna è un oggetto da tenere in camera da letto o una pietanza». Se vogliamo parlare di violenza, conclude Melandri, dobbiamo parlare «dell’idea di amore che abbiamo ereditato e del perverso annodamento tra quest’ultimo e la violenza stessa, causato dai rapporti di potere».

Che fare, dunque? Secondo Fasoli, non serve abolire il porno, ma «aggiungere qualcosa che lo spieghi meglio a chi non ha gli strumenti per attribuire il giusto significato ai ruoli che vengono visti nei film». Senza una educazione affettiva e sessuale, precisa la sessuologa, è concreto il rischio di una errata percezione dei ruoli di maschile e femminile nelle relazioni. «Così i giovani attribuiscono significati errati ai ruoli di genere e all’oggettivazione del corpo della donna. Prendono per reale quello che vedono e non capiscono che è finto: non avendo esperienza di sesso, non sanno che non è così».

La soluzione allora, per la psicologa, sta nell’educazione (specialmente dei minori, che guardano i contenuti pornografici nonostante i tentativi di impedirlo) e l’approccio potrebbe essere triplice. «Innanzitutto far parlare i ragazzi tra loro, per capire cosa ne sanno di erotismo, romanticismo, relazione, cosa percepiscono come reale e come finto — precisa la dottoressa—. Parlare ed educare riduce anche la pressione psicologica e l’ansia che sono legate al confronto tra aspettative e realtà. In questo modo si può anche favorire un uso più consapevole della pornografia e si va a limitare le eventuali conseguenze negative che possono andare a inserirsi in crepe personali che sfociano in comportamenti aggressivi e violenti. E infine dobbiamo aiutare le figure maschili a uscire dal ruolo di genere che viene imposto dalla cultura predominante: per farlo bisogna scardinare gli stereotipi legati alla figura del maschio e della femmina e quindi aiutarli a vivere le relazioni in un modo che vada fuori dagli schemi tipici imposti dalla società».

Sulla necessità di fornire un’adeguata educazione e di incrementare il dialogo aperto è d’accordo anche la professoressa Martellozzo, che però aggiunge: non basta. «”Porn is everywhere” (“Il porno è ovunque”, ndr) ci ha detto uno dei ragazzi con cui abbiamo parlato: è quasi più difficile evitarle il porno che vederlo. Anche quando non lo si cerca attivamente, si viene esposti. Noi dobbiamo proteggere chi non vuole e non deve vedere questa tipologia di contenuti, come i bambini». Poi, certo, oltre agli strumenti legislativi è imprescindibile instaurare un dialogo sincero. «In Australia insegnano cos’è la pornografia già a scuola e secondo me è essenziale. Ma dobbiamo spiegare soprattutto cosa non è, ovvero la realtà. Insegniamo ai nostri bambini e ragazzi fin dalle scuole medie cosa c’è dietro la pornografia, ovvero lo sfruttamento delle donne e degli uomini, ma anche il disagio e la frustrazione di chi non riesce a vivere una sessualità sana per il continuo confronto con i contenuti porno». La chiave, conclude la criminologa, è spiegare loro tutto questo prima che vengano esposti ai contenuti pornografici. «Il sesso è ovviamente un tema che incuriosisce tantissimo ed è una parte fondamentale degli affetti e della nostra vita», spiega. E poi si chiede:«Se lasciamo che siano i contenuti pornografici a dare questo insegnamento ai bambini, che tipo di società possiamo crescere? Purtroppo, quella dei ragazzi di Palermo, che pensano alla dominazione della donna, senza una dimensione affettiva».

La criminologa chiude rivolgendosi alla ministra della Famiglia Roccella: «Le direi: iniziamo a parlare sia dei lati positivi che dei lati negativi della pornografia con i ragazzi in modo preventivo. Come si fa con le droghe e le altre dipendenze. Non vogliamo che le provino prima di sapere quali siano le conseguenze. Ci sarà comunque la volontà di provare, ma con strumenti e consapevolezza in più».

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