Soldi & trattati

Patto di Stabilità, l’allarme del governo su Europa e conti: i nodi spiegati punto per punto

di Gianluca Mercuri

Patto di Stabilità, l'allarme del governo su Europa e conti: i nodi spiegati punto per punto

Prima Giorgetti, poi Fitto: si susseguono gli avvisi ai naviganti dei ministri più impegnati nelle trattative con Bruxelles. I naviganti sono i colleghi di governo, che dovranno tagliare i loro budget. Ma, chiaramente, anche gli elettori. Punto per punto:

- Messaggio numero 1:
Giorgetti. Lunedì, al meeting di Comunione e liberazione di Rimini, il ministro dell’Economia ha chiamato in causa esplicitamente Bruxelles: «Siamo un governo responsabile, lo abbiamo sempre ribadito, ma che chiede all’Ue di capire il senso della storia e del momento che stiamo vivendo altrimenti diventa tutto complicato e magari anche autolesionista».Il riferimento è al Patto di Stabilità, la Magna Charta delle regole di bilancio europee sospesa dopo il Covid ma destinata a tornare in vigore dal 1° gennaio.

- Messaggio numero 2:
Fitto. Martedì è toccato al ministro per le Politiche Ue, nonché plenipotenziario per il Piano nazionale di ripresa e resilienza, ribadire il concetto, nella stessa sede: «Parto da dove ha concluso Giorgetti, per condividere una sua giusta preoccupazione. Noi siamo reduci da un po’ di anni in cui abbiamo dimenticato il convitato di pietra: il Patto di stabilità. Ma oggi torna».

- Ma cosa chiede il governo?
Lo ha specificato il ministero dell’Economia con una nota ufficiale: «Il ministro non chiede la proroga della sospensione della clausola del Patto di stabilità», ma che la riforma del Patto sia approvata entro la fine dell’anno in modo da non cominciare il 2024 con le vecchie regole, giudicate da ogni governo italiano anacronistiche e punitive. Fitto ha parlato di «effetto molto complesso» in caso di mancata riforma. L’Italia chiede tradizionalmente che gli investimenti siano esclusi dal calcolo del debito, e continua a farlo con questo governo.

- E la riforma a che punto è?
La riforma è stata presentata in aprile dalla Commissione europea e ora la Spagna — presidente di turno dell’Unione — conta di arrivare alla riunione di fine ottobre dell’Ecofin (i ministri dell’Economia dei 27 Paesi) con un’intesa che consenta l’approvazione definitiva entro l’anno.

- Cosa si prevede per l’Italia?
L’ipotesi contemplata dalla riforma per i Paesi ad alto debito come il nostro è un aggiustamento del debito in 7 anni, con una discesa graduale di 8 miliardi all’anno (lo 0,45% del Pil). Ogni Stato potrà però negoziare il proprio piano di rientro con la Commissione. In ogni caso, le vecchie regole sarebbero molto più stringenti — e semplicemente insostenibili per l’Italia — con una discesa annuale del debito pari al 4,5%. Il problema è che Germania e altri Paesi «frugali» esitano ad approvare la riforma perché vogliono garanzie ferree sulla tempistica dei piani di rientro. Da qui i timori del nostro governo e il pressing avviato dai due ministri.

- Intanto a Roma si taglia.
Se da una parte chiede più flessibilità a Bruxelles, dall’altra Giorgetti deve mostrarsi sempre più inflessibile con i colleghi di governo, che «non hanno preso benissimo», spiega Mario Sensini, la nuova sforbiciata ai loro bilanci chiesta dal ministro dell’Economia: «Altri 300 milioni di euro da trovare per l’anno prossimo, che si sommano al miliardo e 200 milioni già tagliati con l’ultimo bilancio». Si tratta di «recuperare altre risorse per la prossima manovra. Che sarà concentrata su pochi obiettivi fondamentali».

- Quali sono gli obiettivi?
Quelli essenziali per la coalizione di centrodestra sono la riforma fiscale, la conferma del taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, l’adeguamento delle pensioni. Ci sarebbero anche il Ponte sullo Stretto e i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni e dei servizi da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale per consentire il varo dell’autonomia regionale: due questioni care alla Lega ma costosissime.

- I 20 miliardi che servono.
«Gli osservatori concordano sul fatto che, allo stato, il governo debba trovare altri 20 miliardi di euro con tagli di spesa e nuove entrate», scrive Mario. Alla fine, la manovra dovrebbe ammontare a una trentina di miliardi. Quasi 4 servirebbero per «Quota 41» sulle pensioni, altro pallino leghista. Tutti d’accordo sui 10 miliardi che servono per la conferma del taglio del cuneo — altrimenti chi guadagna fino a 35 mila euro si ritroverà a gennaio dai 40 ai 110 euro in meno in busta paga — mentre non sono per niente blindati i 3-4 miliardi in più che il ministro della Salute Schillaci chiede per assunzioni e aumenti di stipendi.

- Conclusione.
La conclusione è che per il governo, come per tutti i governi, sarà un settembre difficilissimo, ma con in più la scadenza elettorale che tende ad acuire la rivalità tra alleati. La sanità, dopo il salario minimo, è la nuova battaglia su cui le opposizioni intendono muoversi in modo insolitamente unitario. Prossima data chiave: 20 settembre, con la Nadef, la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza. Lì si comincerà a capire chi l’avrà spuntata sui soldi. E chi avrà le armi spuntate.

(Questo articolo è apparso originariamente sulla newsletter Il Punto del Corriere della Sera. Per riceverla ogni mattina in email basta iscriversi qui)

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