Perché Medvedev ha minacciato l’apocalisse nucleare: il tentato golpe di Prigozhin e il clima di sospetti in Russia

di Marco Imarisio

L’ex presidente torna a parlare di nucleare. In Bielorussia saranno allestite basi della Wagner

Perché Medvedev ha minacciato l’apocalisse nucleare: il tentato golpe di Prigozhin e il clima di sospetti in Russia

DAL NOSTRO INVIATO
MOSCA - È davvero tornato tutto come prima. Infatti, Dmitry Medvedev ha ricominciato a scrivere al mattino presto. Questa volta per agitare nuovamente la minaccia del disastro atomico. «Un’apocalisse nucleare non è solo possibile ma anche del tutto probabile» sostiene nel suo nuovo post su Telegram, dove definisce «idioti» i nemici occidentali «che hanno deciso di sconfiggere la Russia, la più grande potenza nucleare del mondo». E sviluppando un pensiero non proprio logico, afferma che siccome è già successo una volta, il riferimento è a Hiroshima, «significa che non ci sono tabù».

Nei giorni del tentato golpe di Evgenij Prigozhin e in quelli seguenti, quando ancora non si capiva dove si sarebbe fermata la lancetta dell’orologio, come dicono da queste parti, l’ex presidente, ex primo ministro ed ex grande speranza liberale aveva più o meno taciuto, forse in ossequio al principio che quando il gioco si fa duro, parlano solo quelli che contano davvero. Adesso che il sole sembra tornato a splendere sulla Russia di Vladimir Putin, e che la marcia su Mosca viene ogni giorno di più declassata a bizzarro incidente, riecco l’uomo obbligato nel 2020 a dimettersi dalla guida del governo perché il suo mentore al Cremlino lo accusava di inefficienza. Sembrava fuori da qualunque gioco. Ma l’Operazione militare speciale gli ha fornito una straordinaria occasione per riabilitarsi agli occhi del presidente con una iperbolica produzione di post su Telegram che estremizzano in chiave ultranazionalista qualunque messaggio giunga dal Cremlino. «Tutto quello che fa è mirato a evitare sospetti sul suo conto» è la rivelazione di un anonimo russo addetto ai lavori fatta ai giornalisti del sito indipendente Meduza che pochi giorni prima dell’insurrezione guidata da Evgenij Prigozhin gli aveva dedicato un lungo profilo intitolato «Cosa diavolo è successo a Dmitry Medvedev?».

L’ultima volta che si aveva avuto notizia di lui era stato proprio durante quel fatidico sabato 24 giugno, quando sembrava dovesse venire giù tutto. Sempre su Telegram, aveva scritto un pensiero persino timido, invitando a unirsi intorno al Presidente per sconfiggere il nemico «interno ed esterno». Lunedì sera, dopo aver pronunciato il suo secondo discorso alla nazione, Putin aveva tenuto un vertice con i principali responsabili delle agenzie di sicurezza nazionali, per discutere le conseguenze dell’accaduto. Persino i media nazionali avevano notato l’assenza di Medvedev, che pure aveva i titoli per sedere a capotavola, in quanto tecnicamente vicepresidente del Consiglio di sicurezza. Non è un caso che le sue dichiarazioni ottengano una maggiore attenzione oltreconfine, dove le sue minacce all’Occidente valgono sempre un titolo e vengono riprodotte in modo pavloviano, anche perché assumono un significato quasi rassicurante per chi è convinto che la Russia sia l’Impero del Male e nient’altro.

Seppure in modo molto più laconico, parla anche Sergey Shoigu, il vero vincitore di questa disfida. «I piani di destabilizzazione del nostro Paese sono falliti perché le forze armate hanno mostrato fedeltà al loro giuramento e ai loro doveri» ha detto seduto alla sua scrivania al ministero della Difesa, rivolto a una platea di alti ufficiali. Senz’altro non si riferiva ai soldati della Wagner, la milizia mercenaria ribelle che appare sempre più confinata in Bielorussia, dove sono in allestimento tre nuove basi, che ospiteranno tra le 7 e le 9 mila persone. Si fa sentire anche Prigozhin, con un messaggio audio diffuso tramite Grey Zone, uno dei pochi canali Telegram che ancora gravitano intorno alla sua ormai ex galassia mediatica. Appena 40 secondi, per annunciare «nuove vittorie al fronte in un prossimo futuro» e ribadire che l’avanzata su Mosca «era una Marcia della giustizia diretta a combattere i traditori e mobilitare la società». La brevità dell’audio e la modalità quasi clandestina della sua diffusione autorizzano molti interrogativi sul destino dell’uomo che ha sfidato Putin.

Tace solo lui, il presidente. Ma oggi interverrà da remoto al vertice del Gruppo di Shanghai, che da Cina e India fino a Kazakistan e Iran raccoglie il cuore dell’Asia centrale, diventato crocevia del nuovo mondo immaginato dallo Zar. Questa prima uscita virtuale è anche l’occasione per verificare a che punto è il prestigio di Putin dopo l’insurrezione del 24 giugno. Più del contenuto, sarà importante valutare il modo in cui ogni sua parola verrà accolta e commentata dai potenziali alleati. Forse già questo è un segno del fatto che qualcosa è cambiato.

4 luglio 2023 (modifica il 4 luglio 2023 | 09:18)