Kosovo, feriti 41 militari Kfor, 14 sono italiani

di Irene Soave

Dei 14 feriti italiani, tre sono gravi ma non in pericolo di vita: avrebbero riportato ustioni e fratture

Kosovo, feriti 41 militari Kfor, 14 sono italiani

Quarantuno militari della Kfor, la Forza Nato in Kosovo, tra cui 14 italiani, sono rimasti feriti nei gravi scontri con i dimostranti serbi a Zvecan, nel nord del Paese. I 14 feriti italiani sono alpini del nono reggimento «L’Aquila», fa sapere il ministero della Difesa. Tra loro tre sono gravi ma non in pericolo di vita: avrebbero riportato ustioni e fratture causate — così «fonti qualificate» alle agenzie di stampa — da bombe molotov.

In quattro comuni dove ci sono state le elezioni comunali sono scoppiate delle proteste. A Zvecan, dimostranti serbi manifestavano contro l’insediamento del nuovo sindaco di etnia albanese — che la premier serba ha definito poco dopo «l’usurpatore» — ed è stato richiesto l’intervento della polizia. Alcune pattuglie rimaste isolate hanno chiesto l’aiuto del personale Kfor, tra cui i militari anche italiani, e hanno iniziato a sparare. Alcuni militari feriti riportano ustioni, tre fratture leggere, ma nessuno è in pericolo di vita.


Il presidente serbo Aleksandr Vucic ha chiesto all’esercito di disporsi in stato di «massima allerta». Più tardi, in una conferenza stampa, ha attribuito al premier kosovaro Albin Kurti «il desiderio di un bagno di sangue per l’intera regione», che sarebbe «trascinata in una guerra con la Nato».

La Nato, in una nota, «condanna questi attacchi non provocati» ma soprattutto si dice «pronta a reagire».

Una condanna ferma dell'attacco è arrivata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «Quanto sta accadendo è assolutamente inaccettabile e irresponsabile. «Non tollereremo ulteriori attacchi», ha affermato. «È fondamentale evitare ulteriori azioni unilaterali da parte delle autorità kosovare e che tutte le parti in causa facciano immediatamente un passo indietro contribuendo all'allentamento delle tensioni. L'impegno del Governo italiano - ha concluso - per la pace e per la stabilità dei Balcani occidentali è massimo e continueremo a lavorare con i nostri alleati».

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha scritto in un tweet: «Voglio esprimere solidarietà ai militari della missione KFOR rimasti feriti in Kosovo durante gli scontri tra manifestanti serbi e polizia kosovara», ha precisato. «I militari italiani continuano ad impegnarsi per la pace», ha sottolineato. Solidarietà anche dal ministro della Difesa Guido Crosetto, che in un tweet augura ai militari «pronta guarigione».

Al primo turno del Roland Garros, dove aveva appena battuto l’americano Alexander Kovacevic, il campione serbo di tennis Novak Djokovic ha detto la sua: sul vetro di una telecamera che lo inquadrava ha scritto «Il Kosovo è il cuore della Serbia. Stop alla violenza!»

Gli scontri di lunedì a Zvecan

La polizia del Kosovo ha disperso con gas lacrimogeni i manifestanti serbi che chiedevano il ritiro dal nord del Kosovo dove si è appena insediata la maggioranza dei sindaci albanesi eletti alle recenti comunali. I sindaci contestati sono quattro: Izmir Zeqiri, eletto a Zubin Potok, e Ilir Peci a Zvecan sono del partito Democratico, all’opposizione in Kosovo. Lulzim Hetemi, sindaco di Leposavic, e Erden Atiq, eletto a Mitrovica Nord, sono del partito di governo.

Questi sindaci, che i manifestanti serbi non considerano i loro legittimi rappresentanti, sono stati nominati a seguito delle elezioni locali organizzate dalle autorità kosovare il 23 aprile. Ma in comuni prevalentemente popolati da serbi che hanno in gran parte boicottato queste elezioni: solo 1.500 elettori, su circa 45.000 registrati, hanno partecipato. In mattinata i serbi, che hanno chiesto anche che le forze di sicurezza appositamente schierate nella regione da diversi giorni se ne andassero, si sono radunati davanti a uno dei municipi interessati, quello di Zvecan, e hanno cercato di sfondarne l’ingresso. Con la polizia, un cordone di sicurezza formato da militari Kfor da Polonia, Ungheria e Italia. Lacrimogeni, tafferugli, perfino granate lanciate dalla polizia sui manifestanti, che hanno risposto a sassate.

La Premier serba Ana Brnabic ha accusato le forze Kfor di proteggere «gli usurpatori», vale a dire i nuovi sindaci eletti nei tre centi del nord del Kosovo nel voto di aprile boicottato dalla comunità serba. «Ma dobbiamo proteggere la pace. La pace è tutto quello che abbiamo», ha aggiunto. A breve parlerà alla popolazione il presidente serbo Aleksandr Vucic. L’esercito serbo, in stato di «massima allerta», è già schierato al confine, con il capo di Stato Maggiore di Belgrado «in continua comunicazione» con il quartier generale Nato.

Il contesto: la minoranza serba del Nord contro il governo di Pristina

La tensione è alta da giorni nel nord del Kosovo, e specialmente in tre comuni: Zvecan, Leposavic e Zubin Potok. Qui le elezioni comunali, pochissimo partecipate, hanno assegnato l’amministrazione a sindaci di etnia albanese, che i serbi della zona, fedeli a Belgrado e contrari all’indipendenza dell’ex provincia serba, contestano. I sindaci, da venerdì scorso in carica, vanno in municipio sotto scorta. Da giorni la forza Nato ancora schierata in Kosovo ha detto di aver «rafforzato la sua presenza nel Nord, e ha esortato Belgrado e Pristina a riprendere il dialogo che era stato avviato sotto gli auspici dell’Unione Europea.

La Kfor, la missione Nato, è entrata in Kosovo nel 1999 ed è poi arrivata a contare 50 mila soldati da 39 Paesi, anche estranei all’alleanza atlantica. A oggi restano 3.802 militari, di cui 638 italiani.

Il Kosovo, ex provincia serba dalla cospicua popolazione albanese, teatro di un conflitto sanguinario a cavallo tra il 1998 e il 1999, si è dichiarato unilateralmente indipendente nel 2008. Ma su 1,8 milioni di abitanti vivono circa 120.000 serbi. La Serbia, particolarmente, considera ancora il Kosovo una propria provincia e non lo ha mai riconosciuto, mentre 113 Stati alle Nazioni Unite sì, inclusi i confinanti Macedonia del Nord, Montenegro e Albania. Nella stessa Ue, però, cinque Paesi — con loro tensioni territoriali analoghe — non riconoscono il Kosovo: sono la Spagna, la Grecia, la Slovacchia, la Romania e Cipro.

Le tensioni recenti al confine tra Kosovo e Serbia

Con l’accendersi della crisi ucraina, le tensioni mai sopite tra i due gruppi sono tornate a riacutizzarsi: è dell’estate scorsa la «crisi delle targhe serbe», con tanto di blocchi stradali e spari al confine per una decisione del governo di Pristina di proibire alle auto con targa serba di circolare.

Al confine con la Serbia — che Belgrado chiama «linea amministrativa» — la «crisi delle targhe» tra i due Paesi provoca lunghe code quando non blocchi stradali, quando non sparatorie. Da settembre 2021 il governo kosovaro vieta di circolare alle auto con targa serba. Belgrado continua a emettere targhe serbe con sigle di città del Kosovo, e sostiene le proteste dei serbi del Kosovo, che periodicamente bloccano le strade o sparano alle forze Nato. I serbi chiedono anche che le dieci enclave kosovare a maggioranza serba, 120 mila abitanti, possano unirsi in una Comunità come sancito a Bruxelles (2013). Il governo di Pristina nicchia: sono già abbastanza autonome, hanno allacci abusivi di luce e acqua, sono protette da 3.700 soldati Nato, che vogliono ancora? Dall’estate scorsa la crisi si è aggravata: 600 impiegati dei comuni a maggioranza serba si sono dimessi per protesta. Negli scontri che ne sono seguiti, uno è stato ucciso.

I colloqui di pace a Bruxelles (in stallo)

Tra febbraio e marzo 2023, il presidente serbo Aleksandr Vucic e il premier kosovaro Albin Kurti si incontrano a Bruxelles per “normalizzare le relazioni” in Kosovo. Il mediatore è Josep Borrell. Al centro dell’incontro c’è la proposta di accordo sul Kosovo messa a punto nei mesi scorsi da Francia e Germania, e fatta propria dall’Unione. La parte serba chiede che venga costituita una Comunità delle municipalità serbe, ipotesi che invece Pristina continua a respingere. Kurti ha poi detto di aspettarsi che la liberalizzazione dei visti per i cittadini del Kosovo, avvenga dal primo gennaio 2024, «come promesso pubblicamente». L’accordo proposto a Bruxelles includeva: riconoscimento reciproco dei documenti ufficiali, aiuto finanziario e altre misure.

Il supporto del Cremlino

In visita in Kenya, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha affermato che «i serbi stavano combattendo per i loro diritti nel nord del Kosovo». Venerdì il presidente serbo Aleksandar Vucic ha ordinato all’esercito di stare in massima allerta e di “spostarsi” verso il confine con il Kosovo, come è avvenuto regolarmente negli ultimi anni. «Una grande esplosione minaccia (di verificarsi) nel cuore dell’Europa, dove la Nato ha effettuato un’aggressione contro la Jugoslavia nel 1999», ha proseguito Lavrov, riferendosi all’intervento dell’Alleanza atlantica contro Belgrado che ha di fatto posto fine alla guerra tra le forze serbe e gli indipendentisti albanesi.

L’invasione russa dell’Ucraina ha gettato nuova luce sui Balcani occidentali, dove la Serbia è ancora un centro di gravità importante. Belgrado ha rifiutato di aderire alle sanzioni europee contro la Russia, tradizionale alleato, e una voce di minoranza serba ha apertamente simpatizzato con la guerra di Mosca.

E le tensioni delle ultime ore in Kosovo tra il governo e la popolazione serba del Paese, per molti osservatori, sembrano riecheggiare quelle del Donbass, prodromiche alla guerra in corso: una popolazione filorussa che subisce «provocazioni» e minaccia di «difendersi», il rischio che si inneschi una polveriera in un Paese dove è ancora attiva una missione Nato.

29 maggio 2023 (modifica il 30 maggio 2023 | 00:05)