Economia

Tasse, il problema del governo Meloni: il taglio del cuneo fiscale “strutturale” costerà 11 miliardi, per ora ce ne sono la metà

ll ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti
ll ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti (fotogramma)

Il governo punta a trasformare la decontribuzione in una revisione dell'Irpef. E a finanziarla in deficit, sperando che l'Ue la consideri una riforma che si autofinanzia. Da luglio 13,8 milioni di lavoratori incasseranno da 50 a 100 euro netti in più su dicembre. E da 28 a 70 euro netti extra rispetto a giugno per effetto del decreto Primo Maggio

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ROMA - Confermare e rendere strutturale il nuovo taglio del cuneo fiscale dal 2024 in poi costerà molto: quasi 11 miliardi all'anno. Ma al momento, come conferma il Def appena varato dal governo, gli spazi fiscali arrivano a circa la metà: 5,7 miliardi, tra 4,5 di maggior deficit e 1,2 di tagli alla spesa dei ministeri. Il governo conta di trovare l'altra metà delle risorse da qui a settembre, quando dovrà aggiornare il Def con la Nadef, documento cruciale per impostare la manovra di bilancio.

Si scommette su una crescita maggiore del previsto, sopra l'1% di Pil, dopo un primo trimestre molto buono. Ma soprattutto si pensa a cambiare natura all'attuale misura: anziché un taglio dei contributi previdenziali in busta paga, un aumento equivalente delle detrazioni Irpef da lavoro dipendente. Un'operazione in linea con la delega fiscale. E allo stesso tempo un veicolo da manovrare in chiave famiglia, per quell'intervento "shock" auspicato dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti per rilanciare la natalità, magari potenziando proprio le detrazioni per chi ha figli.

Le coperture possibili: lotta all'evasione, Iva, minimum tax

Puntare solo sull'eventuale vivacità del Pil non può essere l'unica strada per finanziare l'operazione. Diverse opzioni sono sul tappeto, non tutte sufficienti e alcune non strutturali. Si può ad esempio attingere al fondo per la riduzione della pressione fiscale, con i frutti della lotta all'evasione del 2020 (ci sono sempre tre anni di ritardo tra la raccolta e l'utilizzo). Fondo però calante, nelle proiezioni.

C'è la possibilità concreta, guardata con enorme interesse dal governo, di attuare la direttiva Ue sulle multinazionali e fare come nel Regno Unito: introdurre una minimum tax domestica del 15% sulle multinazionali, equiparando il trattamento fiscale tra la sussidiaria italiana di un gruppo estero e quella italiana di un gruppo nostrano. E poi l'annunciato - non si sa quanto realizzabile - disboscamento delle tax expenditures, gli sconti fiscali in forma di deduzioni o detrazioni. Un'arma a doppio taglio, questa. Perché una parte dei contribuenti potrebbe veder salire anziché scendere la pressione fiscale.

Anche il riordino dell'Iva, previsto nella delega fiscale, può portare gettito aggiuntivo. Ma è materia incandescente, da manovrare con cura e per passi successivi. Nella delega c'è anche il riferimento alla "analisi del rischio generalizzato", l'incrocio potenziato tra banche dati per rendere più efficace la lotta all'evasione fiscale. Difficile dire se in autunno il governo vorrà darne attuazione e in ogni caso i frutti non sono immediati.

L'idea di sfruttare il nuovo Patto di Stabilità

Rimane l'idea più ambiziosa di tutte: portare la riforma del fisco sul tavolo europeo del nuovo Patto di stabilità. Farla passare come riforma che si ripaga da sola perché taglia le tasse e aumenta il gettito e dunque per questo finanziabile pure in deficit. "Anche il Pnrr ha questa logica di retroazione: viene cioè valutato non solo come spesa, ma anche per l'impatto positivo sul Pil", spiega Alessandro Santoro, economista e docente di Scienze delle Finanze alla Bicocca. "Con il nuovo Patto le regole algebriche cedono il passo a un giudizio del Paese su scenari a 4 o 7 anni. E le riforme pesano molto".

Ecco dunque il progetto: una riforma fiscale in deficit, ma autofinanziata in 7 anni con un ritorno potenziale di gettito. Non sarà facile convincere l'Europa. Intanto però la delega fiscale prevede già di uniformare le detrazioni di lavoratori dipendenti, autonomi e pensionati agendo sulla no tax area. Portare i dipendenti al livello dei pensionati significa salire da 8.145 a 8.500 euro. Allineare anche gli autonomi, fermi a 5.500 euro, è decisamente più impegnativo.

Questa però è la strada a cui guarda il governo. Che punta anche a salire sopra i 35 mila euro lordi di reddito beneficiati ora dal taglio contributivo. Un taglio da 4 miliardi al lordo dell'Irpef, da luglio a dicembre che ne vale 6,28 al netto delle tasse e proiettato sull'anno (13 mensilità). L'altro già in vigore ne costa 6,5 lordi e 4,6 netti. Sommando le cifre nette si arriva ai 10,88 miliardi di spesa annua. Al momento ne beneficiano 13,8 milioni di lavoratori dipendenti: a luglio prenderanno da 50 a 100 euro netti in più rispetto a dicembre. E da 28 a 70 euro netti in più rispetto a giugno. Il taglio del Primo Maggio.