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«Google, monopolio nella pubblicità online»: l’Antitrust Usa fa causa al colosso

di Giuliana Ferraino

«Google, monopolio nella pubblicità online»:   l'Antitrust Usa fa causa al colosso

«Google abusa della sua posizione dominante sul mercato della pubblicità digitale da 15 anni». Con questa pesante accusa il dipartimento di Giustizia (DoJ) americano (insieme ad altri otto Stati, inclusa la California) fa causa ad Alphabet, casa madre di Google, chiedendo al tribunale di obbligare il gruppo californiano a separare tre diverse attività dal suo core business di ricerca, da YouTube e da altri prodotti come Gmail. Il gruppo guidato da Sundar Pichai dovrà dissociare Google Ad manager, il servizio che gestisce la compravendita di pubblicità online, cedere AdX,la piattaforma di scambio degli annunci, e disinvestire dalle acquisizioni giudicate anti-competitive, come quella di Double-Click nel 2008.

Secondo il governo, il piano di Google per affermare la propria posizione dominante è stato quello di «neutralizzare o eliminare» i rivali attraverso le acquisizioni e di costringere gli inserzionisti a usare i suoi prodotti rendendo difficile l’uso dei prodotti dei concorrenti. «Google ha usato mezzi anticoncorrenziali, escludenti e illegali per eliminare o ridurre drasticamente qualsiasi minaccia al suo dominio sulle tecnologie pubblicitarie digitali», si legge nell’azione legale intentata presso la corte federale di Alexandria, in Virginia, un documento di quasi 150 pagine frutto di anni di indagini.

«Il dominio di Google nel mercato degli annunci significa che un numero minore di editori è in grado di offrire i propri prodotti senza addebitare costi di abbonamento o di altro tipo, perché non possono contare sulla concorrenza nel mercato pubblicitario per mantenere bassi i prezzi degli annunci», ha spiegato ieri in una conferenza stampa il procuratore generale Merrick Garland. Il risultato è che «i creatori di siti web guadagnano meno e gli inserzionisti pagano di più».

Google, ha sottolineato il procuratore generale, ha perseguito questa «condotta anti-concorrenziale per 15 anni» e così facendo «ha bloccato l’ascesa di tecnologie rivali e manipolato i meccanismi delle aste di annunci online, per costringere inserzionisti ed editori a utilizzare i suoi strumenti». In questo modo, «Google si è impegnata in una condotta di esclusione» che ha «gravemente indebolito, se non distrutto, la concorrenza nel settore della tecnologia pubblicitaria».

Non è la prima volta che Google finisce nel mirino dell’Antitrust Usa. Nel 2020 l’amministrazione Trump ha citato il gruppo di Mountain View in giudizio, sostenendo l’esistenza di pratiche anti-concorrenziali nel mercato della ricerca e della pubblicità quando si fanno le ricerche.

Nel nuovo procedimento le accuse sono durissime: «Google ha ostacolato in modo significativo la concorrenza e scoraggiato l’innovazione nell’industria della pubblicità digitale e ha impedito al libero mercato di funzionare in modo equo».

Alphabet respinge le accuse. In un comunicato ha dichiarato che la causa «si basa su un’argomentazione errata che rallenterà l’innovazione, aumenterà le tariffe pubblicitarie e renderà più difficile la crescita di migliaia di piccole imprese e di editori».

Non la pensa così il DoJ, che ha parlato di «un evento storico», paragonando la causa contro Google a «una pietra miliare». Ha ribadito il procuratore Garland: «Indipendentemente dal settore e dall’azienda, il dipartimento di Giustizia applicherà con forza le nostre leggi antitrust per proteggere i consumatori, salvaguardare la concorrenza e garantire equità economica e opportunità per tutti». Perché «quando una società viola lo concorrenza, l’economia e la democrazia soffrono». Perciò non si tratta di «scegliere vincitori o perdenti», come attacca Alphabet, ma di punire chi viola le regole, a svantaggio dei consumatori, replica il Doj. E ha ricordato un altro caso esemplare, lo stop nei mesi scorsi alla fusione tra le case editrici Penguin Random House e Simon & Schuster.

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