Guerra in Ucraina e crisi energetica, le sanzioni funzionano? La «strategia del boa» potrebbe stritolare la Russia lentamente

di Marco Imarisio

L’economia di Mosca si contrae, i cittadini sono più poveri. Ma gas e petrolio tengono in piedi il sistema. Con l’esportazione delle risorse indispensabili, Putin guadagna più di prima e può continuare la sua guerra per un altro anno

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Vladimir Putin con tre studenti premiati alle Olimpiadi di cultura russe (Afp)

Pagano tutti, anche per quelli che non ce la fanno. Con un colpo di bacchetta magica, anzi con un provvedimento urgente approvato dalla Duma alla sua riapertura, spariscono le famiglie russe che non riescono più a pagare le bollette di gas, luce ed elettricità.

La nuova misura non prevede incentivi ma si limita piuttosto a un’opera di cosmesi introducendo il principio della «corresponsabilità» all’interno dei condomini con più di quattro appartamenti, che stabilisce la presa in carico dei debiti degli inquilini morosi da parte dei vicini. Alla fine, è sempre una questione di prospettive, e del modo di raccontarle. Il Cremlino parla di giustizia sociale. Gli economisti che studiano la vita russa, ormai a distanza, sostengono che si tratti invece di uno stratagemma, perché in questo modo i nuovi poveri spariscono all’interno di una nuova contabilità.

Le sanzioni e la loro presunta inefficacia sono la palestra dell’ardimento della propaganda e di questi giochi di prestigio. «Abbiamo bruciato quasi cento miliardi di dollari per tenere in piedi la nostra economia». Questa frase non è stata pronunciata pochi giorni fa da un bieco occidentalista. A farlo, è stata Olga Skorobatova, vicegovernatrice della Banca centrale russa, a cui è sfuggito un dato chiaro sul costo che la Russia sta pagando con la continua immissione sul mercato interno di denaro pubblico, utile a calmierare i prezzi di beni primari comunque in costante crescita. Come dimostrano pane, carne e verdure, saliti di un altro 5% rispetto allo scorso luglio.

L’impoverimento collettivo creato dalle sanzioni è impossibile da negare, anche solo affidandosi all’aneddotica spicciola. Aeroflot è obbligata a smontare i propri aerei che coprivano tratte extra nazionali per trovare pezzi di ricambio. A causa della mancanza di auto occidentali, Yandex, il più diffuso servizio di taxi, che opera quasi in regime di monopolio, è stato costretto a fare ricorso alle auto Lada di produzione russa, meno comode e sicure, chiedendo un aumento delle forniture. Ma la produzione ormai è ferma. Persino il governo ha dovuto stimare un crollo del 90% nel comparto automotive, che resta pur sempre un indicatore affidabile sullo stato di salute di una economia. Per Yandex sono in arrivo auto della bielorussa Unison, che assembla parti delle macchine cinesi Zotye, come accadeva ai tempi dell’autarchia sovietica.

L’Istat russa si chiama Rosstat. E fa il suo lavoro, nel silenzio dei media di Stato. Nell’estate del 2022 l’industria nazionale è crollata. Su ventiquattro settori presi in esame, 18 hanno subito un calo che dal 6% del settore alimentare arriva allo sprofondo di quello automobilistico. L’iniezione di miliardi di denaro pubblico tiene a bada i prezzi, ma nulla può contro la chiusura delle fabbriche dovuta all’abbandono delle aziende occidentali e soprattutto agli embarghi sulla tecnologia che di fatto paralizzano ogni processo produttivo. Gli unici settori che prosperano sono legati alla guerra, soprattutto siderurgia e farmaceutic a, per altro beneficiati da uno stanziamento di novanta miliardi di dollari.

Ma il Cremlino continua a diffondere una realtà parallela che spesso attecchisce anche dalle nostre parti, basandosi su dati che hanno comunque qualche fondamento di verità. La televisione economica filogovernativa Rbk ha appena affermato che l’impatto negativo delle sanzioni è stato «ampiamente» sopravvalutato e nel 2022 la contrazione del Pil potrebbe fermarsi al 3%, invece del 6 previsto anche dalla Banca mondiale. Anche i redditi della popolazione, che dovevano crollare, sono scesi solo dello 0,8%. «La crisi dell’economia russa non è una caduta rapida ma una contrazione lenta e graduale che durerà per alcuni anni». Ruben Yenikolopov, il rettore della Scuola russa di economia, riassume così la situazione: «Se vi capita di incontrare un boa che stritola lentamente al posto di una vipera dal morso letale, non è sempre una buona notizia». E spiega come alcuni dati che portano acqua al mulino dei contrari alle sanzioni siano specchietti per le allodole. Perché il Pil non dovrebbe limitarsi a scendere di poco, ma dovrebbe crescere in maniera esponenziale, per compensare la più grande spesa pubblica possibile: la guerra.

L’ambiguità maggiore quando di parla di sanzioni riguarda la loro efficacia nel far finire al più presto la guerra. Perché la verticale del potere putiniano si basa sugli apparati, ovvero Servizi segreti ed esercito, i cosiddetti Siloviki, gli «uomini della forza». E sulle risorse energetiche che via Gazprom irrorano in modo esclusivo un sistema che non è stato toccato in alcun modo. Ancora Yenikolopov: «La luce russa non si è spenta subito perché l’Europa non ha ridotto e non sta riducendo così rapidamente l’acquisto delle nostre risorse energetiche». Le ragioni di questa riluttanza sono note e se ne discute ormai da sei mesi. Vladimir Milov, ex deputato ed ex presidente dell’Istituto di politica energetica, è convinto che il blocco delle tecnologie finirà per colpire anche l’industria bellica. Ma con il gas e con il petrolio, Putin guadagna più di prima e può continuare la sua guerra almeno per un altro anno. Le sanzioni che non funzionano sono quelle che non ci sono ancora.

5 settembre 2022 (modifica il 5 settembre 2022 | 12:21)