Le nuove strategie della Nato: che cosa cambia con l'ingresso di Finlandia e Svezia

I vertici di G7 e Nato hanno cominciato a disegnare le nuove «cortine di ferro» per una strategia di «contenimento» dell’asse Russia-Cina. Questa strategia ha ormai una proiezione globale, spazia dal Mar Baltico fino all’Oceano Pacifico, include le armi economiche così come le armi tout court.

A Washington il Pentagono assegna un’importanza cruciale al sì di Erdogan per l’ingresso di Finlandia e Svezia nella Nato. A parte l’enorme rilevanza politica di questa svolta nei due paesi dall’antica neutralità, il beneficio militare è questo: solo ora si può dire che diventi veramente credibile la difesa dei Paesi Baltici da parte della Nato, in caso di attacco russo. Che lo scenario non sia ipotetico, lo ha detto lo stesso Vladimir Putin quando ha ripetutamente evocato l’apertura di un nuovo fronte: la «questione Kaliningrad», cioè il fatto che esiste una enclave russa incuneata tra i Paesi Baltici ma priva di un corridoio terrestre di comunicazione con Mosca.


Lo scenario di riunificazione «territoriale» fra Kaliningrad e il resto della Russia ha sinistre analogie con la «questione di Danzica» che Adolf Hitler usò tra i vari pretesti per invadere la Polonia nel 1939 (con l’accordo di Stalin e la complicità di Mosca). Finora la Nato sapeva di soffrire di un tremendo deficit di credibilità nel suo impegno a difendere gli Stati membri più esposti. I Paesi Baltici sono distanti dalle basi principali della Nato, i corridoi di comunicazione per fare affluire aiuti militari via terra o via mare sono limitati, le attuali forze Nato in Estonia Lettonia e Lituania sono simboliche. Per di più Putin minaccia di fornire all’alleata Bielorussia missili nucleari. Con l’ingresso di Svezia e Finlandia le cose cambiano, si crea un arco dei paesi nordici della Nato vicini fra loro, e la loro difendibilità da un attacco russo fa un balzo significativo.

Su un altro fronte il comunicato finale del vertice G7 ha citato per ben 14 volte la Cina, e non si trattava di riferimenti amichevoli. Il G7 nacque anch’esso nella prima guerra fredda, sia pure più tardi della Nato (l’embrione fu il G5 sperimentato nel 1975, quando la Nato esisteva già da 16 anni). Il G7 è nato come il club delle maggiori economie occidentali più il Giappone, ma ora vuole allargarsi per includere – almeno come osservatori invitati – dei grossi paesi emergenti da sottrarre all’influenza di un club a egemonia cinese come i Brics o l’Organizzazione di Shanghai. I riferimenti più indigesti per Xi Jinping nel comunicato finale del G7 sono quelli su Taiwan e sul Mare della Cina meridionale: si tratta di avvertimenti lanciati alla Repubblica Popolare perché non destabilizzi quelle aree con atti aggressivi. Peraltro anche al vertice Nato gli «ospiti speciali» venivano dall’area dell’Indo-Pacifico ed erano tutte nazioni alleate o amiche dell’Occidente in funzione anti-cinese: Giappone, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda.

Emblematica la reazione del giornale governativo di Pechino più attento alle cose internazionali, il Global Times: «Non è ammissibile che il liquame di fogna della guerra fredda finisca dentro l’Oceano Pacifico». Da questo punto di vista anche l’uscita di Mario Draghi sulla partecipazione di Putin al G20 «solo in remoto» è interessante nella prospettiva del Pacifico, non solo nelle relazioni bilaterali fra Roma e Mosca. Padrone di casa del prossimo G20 sarà l’Indonesia. In linea di massima toccherebbe a lei gestire una sorta di esclusione della Russia mascherata dalla partecipazione a distanza. L’Indonesia, gigante demografico ed economico (272 milioni di abitanti, quinta economia asiatica dietro Cina Giappone India Corea), è un raro caso di democrazia islamica ed è nella sfera filo-occidentale. Tuttavia il suo primo partner commerciale è la Cina; e Giacarta si è messa nel campo dei «non allineati» sulle sanzioni economiche alla Russia. Fa parte di quel «mondo in grigio» che preferisce non fare scelte di campo. Draghi con la sua uscita ha l’effetto di accendere i riflettori sul gigante indonesiano, e vedremo se riuscirà a stanarlo. La Cina non sta a guardare.


A fronte dell’attivismo geostrategico dell’Occidente a guida americana, Xi Jinping rilancia un’iniziativa diplomatica in grande stile verso le isole del Pacifico, dove già fece un primo tentativo di aprire basi militari nelle Salomone. A Ovest invece l’espansionismo militare cinese varca un’altra frontiera con la proposta di mandare una «forza di protezione» – ufficialmente sotto forma di mercenari privati – per difendere gli interessi di Pechino in Pakistan. Il Pakistan per ora ha avuto la forza di respingere la proposta di Xi Jinping. Ma il Pakistan è in bancarotta e ha bisogno di nuovi prestiti cinesi: è uno dei casi-limite delle turbolenze in cui incappano le Nuove Vie della Seta. In questa e in altre aree del mondo la Cina sta proponendo un embrione di anti-Nato, la sua Global Security Initiative (Gsi) che ambisce a diventare un’alleanza militare.

P.S. Glossario storico.
«Cortina di ferro» fu un termine consacrato dal premier britannico Winston Churchill in un celebre discorso del 1946. Descriveva la separazione in due dell’Europa, figlia degli accordi di Yalta, ma poi imposta con la forza militare da Stalin.
«Contenimento» dell’Unione sovietica fu il nome della dottrina geostrategica adottata dagli Stati Uniti sotto il presidente democratico Harry Truman, su suggerimento del diplomatico George Kennan.

Poiché ci stiamo rendendo conto che la prima guerra fredda non è mai finita – di sicuro non lo è nella visione di Putin e Xi – questi termini conoscono una seconda giovinezza.

29 giugno 2022, 11:39 - modifica il 29 giugno 2022 | 17:57

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