L’intervista

Intervista a Christian Lindner: «Aperto al sequestro di beni russi. Il gas? Ci serve per le aziende»

di Federico Fubini

Intervista a Christian Lindner: «Aperto al sequestro di beni russi. Il gas? Ci serve per le aziende» Christian Lindner, ministro federale delle finanze della Germania

Ministro, il G7 si riunisce oggi sotto la sua presidenza. Che messaggio darete alla Russia?
«Siamo al fianco dell’Ucraina, spalla a spalla, e siamo pronti a decidere nuove sanzioni - risponde a quattro giornali europei Christian Lindner, ministro delle Finanze tedesco e presidente di turno del G7 -. La nostra intenzione è isolare la Russia politicamente, finanziariamente e in termini economici. Intanto le conseguenze economiche sono gravi, soprattutto nei Paesi a basso reddito, a causa dell’aumento dei tassi di interesse e dei prezzi dei prodotti agricoli sui mercati internazionali. Dobbiamo lavorare insieme per stabilizzare l’economia globale. Ma la responsabilità di queste conseguenze economiche è della guerra della Russia all’Ucraina. Non delle sanzioni».

Ma le sanzioni funzionano? Finora l’economia russa non è crollata e la guerra continua...
«Abbiamo staccato la Russia dal sistema finanziario internazionale. Molti beni russi sono stati congelati. In molti settori abbiamo interrotto gli affari. Tutto ciò avrà un peso sempre maggiore per l’economia russa. Vladimir Putin deve pagare un prezzo molto alto per l’aggressione all’Ucraina».

È favorevole al sequestro dei beni russi per finanziare la ricostruzione dell’Ucraina?
«Sono politicamente aperto all’idea di sequestrare le riserve all’estero della banca centrale russa. Ne stiamo già parlando al G7 e nell’Unione europea e ci sono proposte sul tavolo. Per quanto riguarda gli asset dei privati, dovremo vedere cosa è legalmente possibile fare. Anche se abbiamo a che fare con oligarchi russi, dobbiamo rispettare lo Stato di diritto».

Perché la Germania, di fronte alle proposte di sanzionare l’import di gas russo, si tira indietro?
«Il nostro obiettivo è diventare completamente indipendenti dalle importazioni di energia dalla Russia. Devo ammettere che la strategia energetica della Germania e la dipendenza dalla Russia durante i precedenti governi sono stati un grave errore. Ora dobbiamo lavorare sodo a diversificare le nostre importazioni di energia. Possiamo già trovare forniture di carbone da altre fonti e siamo pronti a fare a meno del petrolio russo. Ma per il gas naturale, ci vorrà più tempo».

L’Ucraina ce l’ha questo tempo?
«Va evitata una situazione in cui infliggiamo più danni a noi stessi che al bottino di guerra di Putin. La forza dell’economia dell’Unione europea e delle democrazie liberali del G7 è il nostro vantaggio in questo conflitto. Per la Germania, uno stop immediato delle forniture di gas dalla Russia provocherebbe gravi danni all’economia. Ovviamente sostenere l’Ucraina non è questione di prezzo: è un Paese che difende i nostri valori contro un regime autoritario che mina l’ordine internazionale basato sulle regole. Ma non voglio neanche rischiare una grave recessione che potrebbe ridurre la nostra capacità di sostenere economicamente e militarmente l’Ucraina».

Che ne dice di un tetto al prezzo del gas russo, in modo da ridurre gli incassi di Putin?
«Si rischia che la parte russa interrompa i flussi. Se modifichiamo unilateralmente i contratti, Putin potrebbe reagire stoppando di netto le forniture di energia. Non so quali sarebbero le conseguenze per l’Unione europea, ma posso dire che per la Germania non ci sarebbe solo una perdita di benessere o una riduzione della crescita. Certi settori industriali non sarebbero più in grado di produrre nel Paese».

L’area dell’euro sembra già avviata verso una recessione...
«C’è molta incertezza, questo è certo. È chiaro che siamo di fronte a un rischio di stagflazione, per questo suggerisco di cambiare approccio in alcuni settori. Da un lato, dobbiamo rafforzare la crescita. Abbiamo bisogno di meno burocrazia e più competitività. Dobbiamo ridurre la pressione sui prezzi. Nei settori con carenze e problemi nelle catene di fornitura, i sussidi potrebbero causare effetti ulteriori. Dobbiamo diversificare le fonti d’importazione dell’energia e il settore privato va attivato perché investa nelle rinnovabili. Dall’altra parte, dobbiamo tornare a una finanza pubblica sana. I livelli di debito e di deficit hanno effetti sulla stabilità dei prezzi e sulla capacità della Banca centrale europea (Bce) di affrontare scenari d’inflazione».

La Bce deve combattere l’inflazione anche a spese della crescita?
Il mandato della Bce è chiaro: garantire la stabilità dei prezzi. Migliorare le condizioni per la crescita è la nostra responsabilità di decisori politici. Dobbiamo anche tenere presente che in Europa assistiamo a un tipo di inflazione diverso da quello degli Stati Uniti. Il principale motore dell’aumento dei prezzi in area dell’euro è costituito dai costi dell’energia e dalle carenze nelle catene di fornitura, mentre negli Stati Uniti l’inflazione è generata di più dalle politiche monetarie e di bilancio espansive del passato recente».

Ciò significa che la BCE ha ancora un margine di prima di normalizzare?
«Non fraintendetemi. Accolgo con favore il cambiamento delle politiche della Bce con la graduale eliminazione del programma di acquisto di asset e un possibile aumento dei tassi di interesse. Chiaramente, è ragionevole. Ma quando si parla di inflazione, la battaglia non può essere vinta solo dalla Bce: dobbiamo prendere in considerazione la situazione specifica dell’area euro e la questione di ciò che ogni Stato membro può fare a livello nazionale per alleviare la pressione inflazionistica».

E mettere un tetto ai prezzi dell’elettricità come hanno fatto Spagna e Portogallo?
«C’è stata una valutazione dell’impatto di una simile misura nell’Unione europea. Tassare gli extra-profitti o imporre un tetto ai prezzi nel mercato unico potrebbe avere conseguenze negative. Vanno tenuti presente gli effetti negativi sulla transizione verde dell’economia. La situazione attuale crea degli incentivi per i produttori di energia eolica e solare perché investano sulle rinnovabili. Se si parla di interferire sui processi di mercato, sono molto riluttante. Meglio sarebbe proteggere le famiglie vulnerabili e prevenire i danni per le aziende che competono a livello internazionale e soffrono dei rincari dell’energia».

Serve un sequel del Recovery Fund per mitigare gli effetti della crisi ucraina sulle economie europee?
«Next Generation EU (il Recovery Fund, ndr) è un’opportunità unica per finanziare gli investimenti pubblici nella trasformazione, è un’opportunità unica per allargare il sentiero di crescita e benessere nell’Unione e unica per superare le carenze del passato. Ma è unica. Al momento, i finanziamenti non sono ancora stati assorbiti dai governi, anche a causa di problemi burocratici».

La Commissione Ue sembra intenzionata a prolungare la sospensione delle regole di bilancio europee oltre il 2022. Quando dovrebbero tornare i criteri di Maastricht?
«L’aumento dei tassi d’interesse e allo stesso tempo del debito rappresentano un rischio grave. Apprezzo che la Commissione europea abbia scelto un approccio basato sui dati per determinare quando porre fine alla clausola di sospensione delle regole di bilancio, attuata durante la pandemia. Ma abbiamo bisogno che questa clausola finisca il prima possibile».

La Francia e altri Paesi spingono: lei è disposto ad accettare un ammorbidimento delle regole di bilancio?
«Non potrei sostenere un ammorbidimento, ma le regole di bilancio dovrebbero essere allo stesso tempo più realistiche ed efficaci. La Germania è convinta che il Patto di stabilità e crescita abbia dimostrato la sua flessibilità negli ultimi anni. Di nuovo: finanze pubbliche sane sono importanti anche per difendersi dall’inflazione. Non è nel nostro interesse che altri si trovino in un difficoltà, l’obiettivo è che tutte le economie crescano e abbiano finanze pubbliche sostenibili. Suggerisco di combinare un percorso a lungo termine più credibile di riduzione del debito, con obiettivi flessibili a medio termine per raggiungere questo obiettivo».

Sottoscriverebbe l’idea di un nuovo strumento della Bce per evitare la frammentazione dell’Eurozona? Con che tipo di condizioni?
«La cosiddetta frammentazione (l’aumento degli spread fra Paesi dell’area euro, ndr) è un indicatore dei diversi livelli di debito pubblico e di credibilità sui mercati. È una valutazione dei mercati sulle prospettive economiche. Se ne possono ottenere informazioni importanti per la programmazione fiscale e di bilancio ed è una specie di incentivo a rassicurare, se si è sulla strada economica giusta. Al momento, questa differenziazione non rappresenta una minaccia».

L’Italia e la Spagna sono in grado gestire il loro debito quando non ci sarà più la sospensione delle regole e il sostegno della Bce?
«Ho piena fiducia nei miei colleghi. La situazione attuale non è paragonabile a quella che dovemmo affrontare 12 anni fa».

Dopo la pandemia, il debito sovrano della Francia supera il 110% del Pil. Teme che la sostenibilità del debito pubblico della seconda economia europea diventi un problema?
«In Europa nel suo complesso, dobbiamo concentrare i nostri sforzi per garantire politiche di bilancio prudenti e orientate alla stabilità, in modo da essere preparati alle sfide future e da poter abbracciare la transizione verde e digitale. Abbiamo bisogno di un quadro e di incentivi adeguati a stimolare gli investimenti per il futuro, in particolare quelli privati, e accelerare un crescita sostenibile. In parallelo, dobbiamo lavorare in Europa a ridurre l’eccessivo debito nazionale in Europa. Dobbiamo creare cuscinetti di sicurezza nelle fasi favorevoli per poter agire quando serve».

Accetta una futura messa in comune dei debiti nell’Unione europea? «No. Ci dev’essere una connessione stretta tra il debito pubblico, i rischi finanziari e i responsabili politici nazionali. Non vedo vantaggi nel condividere i rischi prima di averli ridotti. La responsabilità degli Stati dell’Unione Monetaria è sulla loro finanza pubblica. Non siamo a favore di un’Unione europea che continui a emettere obbligazioni...

La Cina si concentra sulla lotta al Covid, l’Europa ha rotto con la Russia e gli Stati Uniti sono impegnati nella rivalità con la Cina: la globalizzazione è in declino?
«Il clima internazionale sta cambiando e la Ue ha un ruolo importante in questo mondo nuovo. Putin non raggiungerà i suoi obiettivi di guerra, ma un risultato lo otterrà: le democrazie liberali sono più unite che mai. Europa, Nord America, Giappone, Corea del Sud e altri Paesi rafforzeranno la cooperazione fra loro. Questo nuovo tipo di globalizzazione dovrebbe combinare valori e interessi economici condivisi».

Non somiglia molto all’approccio tedesco degli ultimi due decenni...
«La Germania soffre di bilateralizzazione. Il nostro rapporto con la Russia in termini di energia è troppo bilaterale. E abbiamo una relazione commerciale molto bilaterale con la Cina. Dobbiamo globalizzare e differenziare i rapporti commerciali e di fornitura. Dobbiamo negoziare nuovi trattati commerciali, accordi con altri Paesi per rafforzare i legami economici con i partner che hanno i nostri valori».

Il ministro delle Finanze americano, Janet Yellen, parla di “friend-shoring”, lo spostamento delle catene di fornitura verso partner più fidati...
«Mi piace. Ma una precisazione: dobbiamo evitare la costruzione di nuovi blocchi politici. Ovviamente la Russia non sarà più un interlocutore per un periodo molto lungo. La Cina è allo stesso tempo un partner commerciale, un concorrente e un rivale sistemico. Ma non dobbiamo puntare contro gli altri questo approccio alla globalizzazione basato sui valori. Neanche l’India è la controparte più facile nei negoziati, ma dobbiamo staccare l’India e la Cina dalla Russia. Quindi sono d’accordo sulla globalizzazione tra amici, ma sono contro la formazione di due blocchi separati».

Lei dice che i Paesi europei sono più vicini che mai. Ma nell’attuale crisi energetica ognuno gioca da solo. Non stiamo comprando insieme il gas liquefatto come facemmo con i vaccini durante la pandemia...
«La mia proposta è di cooperare più strettamente nel settore energetico e per mitigare il cambio climatico. Ma non c’è nessuna lotta tra europei. I Paesi devono affrontare le loro specifiche esigenze energetiche e questo rende la situazione diversa da quella di Covid: all’epoca avevamo tutti bisogno degli stessi vaccini. Ora è più complesso: l’approvvigionamento energetico non è diverso solo tra Italia, Francia, Spagna o Germania. Anche all’interno della Germania, abbiamo reti energetiche diverse tra Est e Ovest».

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