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Vaccino AstraZeneca, l'errore della mezza dose diventa un caso: "Ora servono altri studi"

Pascal Soriot, ceo di AstraZeneca: "I nuovi test saranno più rapidi, partiamo da un dato di efficacia alta". I dubbi riguardano l'errore della dose ridotta, che ha aumentato la protezione offerta contro il virus al 90%, ma è stata testata su un gruppo più piccolo di pazienti. Il vaccino inglese potrebbe bloccare anche il contagio, oltre che i sintomi
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Il vaccino di Oxford e AstraZeneca avrà bisogno di ulteriori test. "Serve uno studio supplementare perché abbiamo individuato quelle che sembrano essere le migliori condizioni di efficacia del dosaggio, ma dobbiamo validarle" ha spiegato il Ceo di AstraZeneca. Il dilemma della "mezza dose" sta mettendo in difficoltà gli sviluppatori del vaccino più economico e facile da distribuire in tutto il mondo. I nuovi test "potrebbero essere più rapidi in quanto sappiamo che l'efficacia è alta, per cui abbiamo bisogno di un minor numero di pazienti" ha spiegato Pascal Soriot in un'intervista a Bloomberg.

Il vaccino di Oxford e AstraZeneca ha bisogno di due iniezioni a 28 giorni di distanza. Quando alla prima iniezione, durante i test, per un errore di fabbricazione è stata somministrata ai volontari solo mezza dose, l'efficacia è però aumentata. Può darsi che il sistema immunitario abbia bisogno di una minor quantità di principio attivo per attivarsi. Oppure che l'adenovirus usato come vettore venga attaccato dal nostro sistema immunitario, nel momento in cui si somministra una dose più alta. Fatto sta che mentre il regime "una dose + una dose" ha mostrato un'efficacia del 62%, quello "mezza dose + una dose" ha raggiunto il 90%. Sarah Gilbert, la scienziata di Oxford che dirige l'équipe, ha spiegato che il sistema immunitario "viene attivato dalla dose giusta per lui", non necessariamente dalla dose più alta. E che le sperimentazioni servono proprio ad affinare queste variabili.

Questo garbuglio nei dati metterà comunque le autorità regolatorie (l'Ema in Europa e l'Fda negli Stati Uniti) di fronte a un dilemma. Approvare il regime stabilito per le sperimentazioni, anche se meno efficace, o approvare la formula che funziona meglio, anche se è frutto di un errore di dosaggio? La mezza dose è stata somministrata solo a 2.700 dei 23mila volontari arruolati in Gran Bretagna e Brasile per i test di fase tre, quelli che avrebbero dovuto dare la parola definitiva sul funzionamento del vaccino. Ha coinvolto inoltre solo persone al di sotto dei 55 anni in Gran Bretagna. Non si sa nulla della sua efficacia sopra quella soglia di età. Il fatto che in genere i vaccini stimolino meno il sistema immunitario negli anziani potrebbe far scendere il livello di efficacia anche nel regime mezza dose + una dose.

La palla ora è nel campo dell'Ema e dell'Fda. E' improbabile che la formula una dose + una dose passi il loro vaglio. Il 62% di efficacia difficilmente potrà reggere il confronto con il 95% degli altri due vaccini che hanno terminato la fase tre (Pfizer-BioNTech e Moderna). Può darsi invece che le autorità regolatorie, studiando i dati (che non sono stati ancora pubblicati su una rivista scientifica), decidano di approvare il regime mezza dose + una dose agli under 55, il gruppo in cui è stato testato, anche se su un numero non grande di volontari. Nel frattempo gli studi proseguiranno, anche per ridurre le fluttuazione statistiche di cui soffrono i piccoli gruppi. Un trial in 13 centri con 3mila volontari potrebbe prendere presto il via anche in Italia.

L'errore di dosaggio era stato reso noto già lunedì 23 novembre, il giorno della presentazione dei dati attraverso una conferenza stampa di AstraZeneca e Moderna. Mene Pangalos, vicepresidente della sezione ricerca e sviluppo della multinazionale farmaceutica aveva parlato di serendipity. I ricercatori di Oxford nel somministrare i vaccini avevano notato che i volontari non sviluppavano i soliti sintomi: arrossamento sul luogo della puntura, leggera stanchezza e dolore muscolare. Controllando il contenuto delle fiale, si erano accorti che la concentrazione era la metà di quanto indicato sull'etichetta. L'università di Oxford mercoledì aveva precisato che "l'errore era avvenuto nella fase di produzione" (fase che avviene al di fuori dell'università britannica), mostrando un affiatamento forse non perfetto con i suoi partner. Invece di buttare i risultati dei test, comunque, i ricercatori avevano deciso di proseguire con la mezza dose. E hanno ottenuto il risultato lusinghiero del 90%.

Il vaccino di AstraZeneca e Oxford potrebbe avere dalla sua un importante vantaggio, rispetto ai rivali di Pfizer-BioNTech e Moderna. Questi ultimi hanno infatti calcolato i loro casi positivi solo fra i volontari che avevano sintomi. "Noi abbiamo sottoposto a test periodici anche le persone senza sintomi" ha spiegato invece Sarah Gilbert. "E abbiamo trovato quote inferiori nei vaccinati rispetto ai non vaccinati". Questo offre due indicazioni importanti. La prima è che i vaccinati con il candidato di Oxford non solo evitano la forma grave della malattia, ma (forse: dati certi ancora non ci sono) rischiano anche meno di essere asintomatici e contagiare gli altri. La seconda è che l'efficacia più bassa rispetto agli altri due vaccini (90% contro 95%) sia in realtà un errore statistico: testando gli asintomatici, è normale che vengano riscontrate più persone positive. Prima di fare il confronto diretto con le cifre, tutte le aziende produttrici dovrebbero chiarire come calcolano il numero dei contagiati.

L'abitudine di affidare gli annunci sui vaccini ai comunicati stampa (l'avevano fatto anche Pfizer-BioNTech il 9 novembre e Moderna il 16 novembre) era stata criticata dal microbiologo di Padova Andrea Crisanti, che all'annuncio di Astra-Zeneca Oxford aveva replicato il 26 novembre: "Non farei il vaccino senza prima vedere i risultati pubblicati".

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Il suo scetticismo era stato criticato dai suoi colleghi. Il presidente del Consiglio Superiore di Sanità Franco Locatelli lo aveva chiamato: "Irresponsabile".

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